Presentazione di Giorgio Bàrberi Squarotti
Premessa di Giovanni Tesio
L’uso del dialetto, in questo volume arca di Vito Moretti, mira ad agevolare il riconoscimento della realtà e la sua restituzione agli spazi più intimi, nei quali il tempo e le ragioni individuali si fanno vita, esistenza quotidiana, itinerario da percorrere in solitudine o con quanti si abbia d’intorno.
L’orizzonte di riferimento è quello della piccola comunità di San Vito Chietino, con la sua parlata e con le sue risorse espressive, ma il poeta allarga via via il suo sguardo fino a declinare sulla pagina gli interrogativi, le inquietudini, gli snodi culturali e morali che sono della sua stessa età e della sua complessa generazione, sicché i testi si propongono anche come una arguta e profonda testimonianza della coscienza contemporanea, della quale Moretti sa cogliere illusioni e disincanti, speranze e sconfitte.
Si tratta, dunque, di una poesia che, pur sollecita ai rigori della registrazione filologica, vuole essere anzitutto una ricerca di identità, un percorso nell’esperienza concreta del vissuto e, in qualche modo, un aprire e chiudere conti di una soggettività o, insomma, di un animo critico che — di fronte alle tante parvenze e lusinghe della realtà — cerca di scioglierne i drammi e di comprenderne le ragioni, ma con il proposito di assecondare soprattutto ed esclusivamente un’appassionata inclinazione creativa, propria di chi riserva a sé il solo esercizio di poeta e ad altri le più congrue pertinenze etno-culturali e glottologiche.
L’avventura di Vito Moretti, quindi, per queste sue estensioni di originalità e di pregnanza lirica, può dirsi davvero unica ed esemplare e può certamente annoverarsi fra le migliori vicende letterarie di questi ultimi decenni.