Yago contro Yago, lo scandaglio dialettico gettato dentro una vita dissennata per rappresentare, attraverso l’analisi delle motivazioni e i vizi di un uomo, i limiti di tutti gli uomini.
Yago è di fronte al suo giudice, accusato di svariate nefandezze delle quali deve dar conto. L’imputato ammette, o sembra ammettere, le sue colpe. In realtà accusa. Accusa se stesso così da poter accusare colui che lo giudica, e insieme a lui l’intera umanità. In nulla è colpevole se non di soffrire dell’invidia, delle ambizioni e delle brame comuni. L’unica sua colpa sarebbe una capacità: l’abilità di manipolare, di far sì che gli uomini, dei quali si limita a sfruttare le debolezze, si perdano da soli.
Yago, il terribile Yago, non è altro che l’attimo d’ombra che offusca la ragione di Cassio e di Otello, nel precipizio che la società e Cassio e Otello medesimo predispongono per l’essere della tragedia. Il fare che illumina le storture segrete di una società fondata sul potere e sugli egoismi.
Yago non si differenzia dal suo giudice. La differenza di funzioni tra inquisitore e reo non esclude la convergenza delle attitudini. Il giudice dovrebbe aiutare a correggere, indirizzare, ricondurre a norma, aiutare; invece, è uguale a Yago: abusa, imperversa, trionfa.