C’è un senso di diffusa musicalità nei versi di Andrea Bucci: non semplicemente una predisposizione, ma il frutto di un’attenta ricerca linguistica. Il lessico è semplice, immediato, naturale, ma tale osservazione non appaia riduttiva, la semplicità è l’esito di un’evidente aspirazione all’essenzialità.
I versi denotano buone letture, i cui echi non sono mai puro ornamento, ma attenta e partecipata rielaborazione. L’aggettivazione è misurata, mai eccessiva; assume a tratti toni aspri, quando si fa forte l’eco di un disagio da cui fuggire proprio per mezzo della poesia. Giungerà la notte, ma il poeta è pronto, avverte la forza delle infinite strade dei paesaggi mentali.
Frequente è il ricorso alla domanda: il poeta si interroga continuamente, assume su di sé la responsabilità della ricerca di risposte, forse all’uomo negate. Ma è nella ricerca che si cela il vero senso dell’esistenza umana.
Si tratta di domande di senso, alle quali in alcuni momenti sembra di aver trovato risposta, ma ecco che, incalzante, si fa sempre strada un nuovo dubbio. La sostanza del mondo è negata all’uomo e attingerla non è in suo potere, se non a tratti, illusoriamente.