I centouno tanka, haiku e senryu, ospiti nel frusciare di pagine a vario titolo dis-senzienti il silenzio, rappresentano la “versione” di un all’erta nei confronti dell’hic et nunc, inatteso, stupefacente e illuminante, colto nella sua immediatezza sincronica e tridimensionale fatta di necessità, libertà ed evanescenza del superfluo nell’essenzialità espressiva dell’irripetibile immediato.
Nelle varie sezioni della raccolta, compreso il gendai haiku posto ad apertura della silloge, i versi si offrono a un ulteriore, di-f-ferente e di-verso “sentire” il silenzio, nella duplice accezione dell’ascolto e della consapevolezza percettiva di sensazioni e sentimenti alla relazione tra sé, l’altro e il mondo comunque si manifesti, attraverso la scrittura, nelle scelte personali sempre di/s/tese fra l’impeto e il lasciarsi andare dell’impegno, nel discernimento che se/para e s/compone o nella cura, at/tenta e pre/sente, ac/cogliente, nonché nella riflessione sugli enigmi e sul mistero della finitudine sospesa del mortale, sempre esposto alla vulnerabilità dell’effimero e caduco, dell’illusoriamente perdibile… di uno “spirito perso” nel vuoto.
E sono l’esito assolutamente impagabile di centouno e forse più battiti di palpebra, a cuore digiuno, assetato, sul mondo, esigenti e accoglienti al medesimo tempo: ospiti che non perdono la dimora del cammino!