Quando ai principi degli anni Settanta, fresca matricola della facoltà di giurisprudenza, aprii i primi manuali di diritto (sia privato che pubblico) restai subito tramortito dalle varie teorie circa l’interrogativo “che cos’è il Diritto?”.
Un coacervo di tesi, che andavano dal giusnaturalismo ulpianeo al giuspositivismo di Kelsen, si affastellavano tra precetti filosofici, sociologici e psico-antropologici, mettendo a dura prova il mio iniziale entusiasmo, fino a farmi dubitare sulla bontà della scelta della facoltà.
Quella crisi la smontò una sera mio padre (un anziano avvocato, come me oggi), allorquando – quasi pigliandomi in giro e prendendo a prestito una considerazione del grande Francesco Carnelutti – diede la risposta giusta: il Diritto è la Vita! (anche se poi, di suo, aggiunse di star sereno che quella domanda nessun professore me l’avrebbe mai posta…).
Di anni, da quella sera, ne sono trascorsi una montagna, ma quel postulato l’ho addirittura affinato, essendo giunto alla conclusione che Diritto e Vita sono sinonimi.
Dietro una vicenda giudiziaria di ogni individuo – dunque nella Vita di ognuno – si nascondono fatti, desideri e passioni, sogni e speranze, farse e drammi, l’Amore e l’odio… Uomini e Demoni!