Se sul visionarismo di Davide Lazzaretti e sul movimento messianico, che a lui fece capo intorno al 1870 nella zona povera del Monte Amiata, si sono impegnati storici delle religioni, letterati, filosofi, politici, medici, psichiatri, antropologi, non altrettanto può dirsi sul messianismo di Oreste De Amicis, il “Messia d’Abruzzo”.
La biografia di Oreste De Amicis, per quel che si sa, è simile a quella di altri messia: le irrequietezze, le occasioni meditative, le crisi mistiche, i digiuni, le pratiche ascetiche, le visioni che orientarono alla sua sacra missione, il successo che incontrò fra le masse di diseredati, la fine drammatica. Che fosse un soggetto fuori del comune, un irregolare, un eccentrico, uno sregolato ne fanno fede non pochi episodi della sua vita. Prima il suo desiderio di farsi gendarme di cavalleria, poi — a seguito di una visione della Madonna — la volontà di prendere i voti.
Il saio da cappuccino non chetò, tuttavia, la sua irrequietezza; né, in seguito, attenuarono le sue inquietudini l’abito talare, l’esperienza dell’eremitaggio, il silenzio dei conventi, le penitenze, i pellegrinaggi verso i più famosi santuari del nord d’Italia, il soggiorno in Svizzera. Sapeva insegnare e, infatti, fu un eccellente maestro elementare; sapeva comunicare con efficacia e, infatti, fu un predicatore di rango.