Su alcuni fatti realmente documentati e su opportunità desunte da pagine d’archivio, Licio Di Biase costruisce un romanzo storico che ha – come deve sempre avere – i tratti della fedeltà al “vero”, alla storia nelle sue coordinate di fondo e nei volti e nomi dei suoi grandi e piccoli interpreti, ma che ha anche la forza di rimemorare, sul piano narrativo, le atmosfere, i sentimenti, le psicologie di una comunità d’uomini – quella di Castellamare – sollecitata a chiarire se stessa di fronte alle vicende complesse della vita e agli orizzonti ideali della modernità; sicché lo sguardo dell’autore, che sa discernere i momenti e i percorsi più utili nel giuoco delle azioni e dei pensieri – e che sa anche ripristinare per il lettore i contorni e le stature delle singole esistenze –, s’incunea con argutezza nella realtà di quegli uomini, ne marca i costumi e le abitudini, ne espone le certezze, i propositi, gli smarrimenti e ne riconosce l’anima, il cuore, la volontà di essere quel che comunque fu, malgrado le avversità e gli equivoci: in un quadro complessivo che tanto persuade quanto sa unire l’energia del “documento” con le risorse d’una narrazione dai timbri nitidi e dalle turgide e rotonde espressività.
[Vito Moretti]