Guido ha trentacinque anni, vive
a Madrid con Guadalupe, la sua
compagna, e crede di avere tutto ciò
che ha sempre desiderato. Lavora in
una multinazionale, conosce gente,
frequenta feste e teatri. La vita in
una metropoli è esattamente come
se l’era immaginata: movimento,
rumore, possibilità.
Ma una sera riceve una telefonata
di sua madre, durante la quale viene
a sapere che è malata di cancro.
A quel punto Guido si sente moralmente obbligato a tornare per
qualche giorno nel piccolo borgo
nella Maremma laziale dove è nato
e dove, citando Vincenzo Cardarelli, apparentemente “tutto è fermo”.
Invece l’incontro agrodolce con la
sua famiglia, i cui rapporti sono incasinati e per nulla statici, la lontananza forzata da Guadalupe, l’aria
apparentemente sonnolenta della
provincia a cui Guido si riabitua
con fatica, fanno tornare a galla
certi vecchi fantasmi del passato e lo
mettono di fronte alla fragilità della vita: sia quella che conduceva nel
paese natale che quella che si è costruita a Madrid. Una fragilità dura
da accettare, ma con cui dovrà fare
i conti se vorrà rimanere se stesso.