Dopo una prima giovinezza disagiata, Paolo Érmoli vede prospettarsi la realizzazione del sogno di diventare ricco sposando Fulvia, «la ricchissima vedova del conte Ateni, l'amante appassionata di Diego Rebeschi, il suo povero cugino», del cui delitto il Nostro si è reso responsabile, vincendo ogni scrupolo morale.
Se però, sul piano pratico riesce a fugare ogni dubbio circa la sua colpevolezza, sul piano psicologico è uno sconfitto, poiché il rimorso lo fa precipitare nello scontento e lo costringe a un'esistenza inautentica.
Penetrando nei “sotterranei” di un’anima, ciò che l'Autore vuole evidenziare è il passaggio dalla soddisfazione all’infelicità che, a sua volta, si traduce in una tragica crisi individuale e in un’elevata tensione spirituale prossima alla concezione dell’uomo “automa” o inetto che cerca di mascherare il proprio vuoto d’umanità.
Come lo Sperelli dannunziano, l’Érmoli è un giovane in attesa della donna amata, ma non applica il principio dell’habere non haberi. Oscilla piuttosto tra le evocazioni del passato e una previsione immaginosa del futuro, resa vivida da effusioni romantiche e da raffinati vagheggiamenti sensuali. In mezzo c’è il presente, un tempo non del tutto soppresso, ma che ricorda all’homo felis (uomo animale) di Butti la difficoltà d’integrazione, se non addirittura il conflitto, tra lui – plebeo arricchito – e la società aristocratica mondana.