Solo un ligure poteva scrivere un romanzo come questo. Cioè raccontare in cento pagine una storia lunga davvero (Dino Chelli è nato nel 1930), piena di fatti, persone e ambienti come un pandolce genovese di uvetta, canditi e pinoli.
Merito del linguaggio asciutto, scabro, esatto: dovuto anche e soprattutto alla formazione scientifica dell’autore, chimico di professione.
Come in un quadro divisionista, sono i punti di colore dei piccoli eventi a formare quelli grandi – Fascismo, Seconda guerra mondiale, Rinascita –.
La Spezia prima della Guerra è raccontata per bozzetti, mestieri scomparsi, lessico e figure di famiglia, abitudini secolari, scorci di paesaggio urbano, marino e collinare; memorabili, perché vissute sulla propria pelle, le pagine terribili dei bombardamenti e del periodo di sfollamento; e poi il difficile reinserimento nel tessuto civile, il miracolo italiano creato da sudore e ingegno.
Chelli racconta in prima persona, lasciando l’impressione di apparire solo a tratti da un paravento di discrezione, d’intimità lasciata indovinare, di repulsione a mettersi in mostra.
Anche quando parla dei suoi affetti profondi, il tono è di schivo pudore, e proprio per questo più coinvolgente di tanti ghirigori psico-sentimentali.
La lettura lascia la certezza di aver conosciuto un uomo che, con poche parole e tanti fatti, ha contribuito a farci vivere in un Paese migliore.