In questa silloge poetica l’autrice compie un percorso rigenerante, affidato ad attimi di intima fragilità, che l’avvicina e la riconcilia alla bellezza del creato, così che diviene facile per lei sentirsi come la rosa che fa bello il giardino.
Con stupore e con gratitudine si lascia influenzare dal soffio dell’ispirazione. Il suo sguardo si sofferma sui fremiti del cuore, come li ha conosciuti nell’esperienza terrena e come li ha immaginati addentrandosi in quel regno dell’Oltretomba di cui ascolta il richiamo.
Le reminiscenze mitiche e soprattutto l’invito accogliente della natura la accompagnano sostenendone i passi.
Con continuità nascono e si rincorrono immagini-simbolo e figure retoriche creando empatia con il lettore.
Può trattarsi delle foglie accartocciate che si piegano ai voleri della stagione, un autunno in cui il tedio e il non senso riempiono i vuoti; o ancora del genio dell’eterna giovinezza che si libera dalla bottiglia rugosa del suo corpo; o, perché no, dei colori che le parlano nei sogni recalcitranti.
La poesia si libera in un volo talvolta di esaltazione, talvolta di caduta, asciugando, alla bisogna, le lacrime e più spesso strappandole un sorriso.