Non c’è pretesto narrativo di cui mi sia servito per scrivere questo racconto, a meno che non si consideri il coronavirus un pretesto.
È nato tutto per caso. A partire da marzo ho deciso di tenere un diario e l’ho scritto attenendomi ai fatti e nello stesso tempo approfittandone per qualche riflessione che prendesse spunto dai miei sogni e da quanto andavo vivendo. Dopo un paio di mesi si è materializzato un manoscritto: Il Flagello e la Cura, diviso in tre parti, “La Critica della Ragione Infelice”, “La Critica della Ragione Felice” e la “Critica della Ragione”.
Sotto l’incalzare dei sogni e degli eventi mi sono ritrovato negli Ipogei di Santarcangelo, il paese in cui sono nato, e lì c’è stata una svolta. Se dicessi che non ho pensato alla Divina Commedia affermerei il falso, e mentirei se dicessi che non ho pensato anche all’Eneide e all’Odissea.
Nell’arco di tempo, che per semplificare ho chiamato Il Flagello, il compagno di viaggio è stato Gianfranco Angelucci, amico, scrittore e regista a fianco di Fellini per una vita. Incarnava in parte Virgilio, in parte Jung. I sogni che andavo facendo li mettevo a sua disposizione cercando, insieme, di capirne il senso. Ma c’era anche dell’altro. Gli incontri e gli imprevisti erano di ogni genere, letterari, storici, esistenziali. Ha preso corpo un sodalizio che ci ha cambiato entrambi. Direi ancora una bugia se dicessi che non ho pensato a Don Chisciotte e Sancho Panza.