Tratte da Parabole e novelle (pubblicate nel 1916 dall’editore Bideri di Napoli), le Favole di Natale rappresentano l’esordio di Gabriele d’Annunzio come narratore che mescola l’impianto naturalistico con il corpus di tradizioni popolari e poesie dialettali toccando le corde del fantastico o, per meglio dire, del meraviglioso puro.
Questa raccolta rappresenta un unicum nella produzione dannunziana. Le leggende popolari abruzzesi o rielaborate in terra d’Abruzzi, alcune delle quali conosciute di prima mano, non sono sottoposte a un mero processo di trascrizione, ma di ri-creazione e tutte attingono, dunque, a quel patrimonio di fiabe popolari che dopo tanti anni e in un clima letterario tanto mutato furono sottratte all’oblio da Italo Calvino.
In questo modo il Vate infonde in ogni favola sia la vaghezza della fonte (orale), donando l’affresco di un Abruzzo sul punto di sparire, sia l’inconfondibile romanticismo che contraddistingue la cifra stilistica del Vate, fedele a quella «sorta d’incantamento» che avvolge gli eventi, ma ne dilata l’effetto, arricchendo la narrazione di ogni genere di particolari, raccontando il tempo senza tempo della fiaba o ricostruendo la vita tenera e cruenta di un’antichità ideale (come in San Làimo navigatore).