Dov’è l’ingegner Bertanini, perso nel mondo della Settimana
Enigmistica? E dove Donna
Malfalda d’Ambroise, 96 anni di
nobili passioni? Dove sono Ginomare, cioè Mare Luigi figlio
di Mare Luigi, e Denis Mastroleo da Napoli, detto Maradona?
E tanti, tanti altri. Dove sono?
Cominciando a leggere Rebus,
viene spontaneo parafrasare
l’attacco della prima canzone
di quel meraviglioso album di
De André, ispirato all’Antologia
di Spoon River, anche se i nostri personaggi non dormono
nel cimitero sulla collina, ma
nell’ospizio Bertini-Dondi. Non
sono morti, ma alla morte vicinissimi.
Già, la signora con la falce visita
spesso l’istituto, anche se nessuno la invita; ma questa volta
ha voluto esagerare, prendendosi la vita di Mariuccia Michelini, un’addetta alla cucina che di
anni davanti a sé ne avrebbe un
bel po’, e invece eccola lì, trafitta da un coltellaccio.
Il delitto complica la vita di
Santa, la giovane neodirettrice. Lei di problemi è già fornita
quanto basta e avanza: due anni
a combattere fino allo sfinimento contro un tumore raro, che
l’hanno resa solitaria e (forse)
anaffettiva. Ma deve tuffarsi,
da provetta nuotatrice qual è,
rischiare di persona; e le indagini scompigliano i rituali del
Bertini-Dondi, che diventa teatro dell’assurda tragicommedia
recitata da attori sempre pencolanti tra dignità e abiezione,
demenza e magiche intuizioni,
sfascio corporale e allucinata
ribellione al destino comune.
L’occhio dell’autore guarda
con dolente e divertita pietas,
è spettatore profondamente
coinvolto, come Lee Masters
(giustificato dunque l’accostamento iniziale); non applaude e
non fischia, conduce abilmente
la trama fino alla soluzione del
rebus e all’epifanico finale in
cui Santa scopre il colpevole e
soprattutto sé stessa. Rebus, vincitore del Premio
Baskerville 2024, rivela uno
scrittore di singolare talento e
umanità.