L’opera di Gustave Thibon, il filosofo-contadino, è come una fiamma devastante e tonificante al tempo stesso: se da un lato conserva l’impronta della vita contadina, dall’altro s’inabissa nelle acque profonde dell’umanità e del suo destino ergendosi come un faro che rischiara dall’alto l’ingresso del porto.
A un primo impatto le pagine di Thibon possono apparire eterogenee e frammentarie, ma sono tuttavia animate dallo stesso spirito interiore: l’idea di una coerenza e di un equilibrio organici che l’uomo ha perduto e deve ritrovare. E soltanto rimettendo al centro Dio, l’umanità dispersa può riscoprire i legami vitali che saldano il presente con il passato e il tempo con l’eternità.
Il contadino non parla per non dir nulla; abituato al silenzio non abusa delle parole: egli, a contatto perpetuo con il creato, medita e coglie i misteri e le angosce del cuore umano e s’accorge, in modo sublime, che Colui che ha donato la vita desidera che la vita a Lui torni per essere eternamente custodita.