Onestà. È questa la prima parola che mi ispira la poesia di Paola. Onestà di idee, di sentimenti, di parole, di sogni, di percorso guadagnato. Onestà di concordare coi sogni uno spazio blu per uno sguardo verso l’alto, verso le stelle a cui si affidano i desideri.
Desiderio (da de e da sidera), mancanza delle stelle appunto, e Paola traccia una possibile Via Lattea per arrivare a cogliere quelle che ci sono destinate: “desiderare non è mai stato così urgente”.
Il suo sguardo è quello di Amélie che decide di “rimettere a posto” le vite degli altri scoprendo una scatola di ricordi dell’infanzia. Con questa capacità di stupore e di rivincita dei bambini, Paola rende giustizia alla poesia nella sua legittimità originaria, poiesis, fare.
Hilmann direbbe che c’è qui un vero intento di “fare anima” attraverso la capacità immaginifica.
È la stessa autrice che in “Il mago sei tu” delinea una traiettoria specifica dell’immaginare, in mago agere, fare agire il mago dentro di sé, il proprio abracadabra personale.
Questa poesia non solo ci dice che si può essere felici ma che addirittura ce lo siamo meritati, anche solo per il fatto di aver portato lo sguardo in cielo, solo per aver cercato la stella che ci appartiene.