Il corpo principale della poesia di Marisa Attolini rappresenta soprattutto un atto di contrizione. Marisa esorcizza un sentimento di colpa, determinato dalla sua protratta difficoltà d’identificazione con la figura materna. Mamma, dice la bambina cresciuta ma sempre figlia e quindi bambina, io sono oramai come te, ho imparato e ti sono vicina. Marisa scrive e Marisa è la madre: le attese nella casa del sole, i fiori lungamente osservati nel giardino in attesa di germogliare, una strana attitudine all’amore piuttosto vagheggiato che agito. Ma: “ora che il sonno ti appartiene”. La meravigliosa madre vagheggiata ha un’evidenza lugubre, una figura goyesca perché ammantata di nero. Marisa esorcizza la colpa (il non essersi identificata), identificandosi. Annulla così, finalmente, la lontananza posta fra sé e la madre. Si tratta di una finzione: la madre ammantata di nero, cui appartiene il silenzio, nel silenzio eterno ripropone la lontananza.