Questo libro è nato attorno ad un desiderio: che restasse testimonianza della nostra vita di questi anni, durante e dopo il terremoto del 6 aprile 2009.
Nella prima sezione del libro, La banca della memoria, è contenuta una narrazione collettiva: 55 testimonianze raccontano le prime 12 ore della nostra seconda vita. Non è stato facile “estorcere” questi racconti: tutte queste testimonianze parlano la mia stessa lingua, quella dell’esilio. Ho cercato, in questo modo, di dare voce a una comunità dispersa, che ha perso i luoghi dell’incontro, il concetto di prossimità ma non la necessità, né il desiderio di condividere il “momento”, per cementare la speranza del ritorno.
La seconda parte del libro, I gigli della memoria, vorrebbe invece dar conto del tempo successivo, fino ad oggi.
La postfazione è affidata alla penna di Paolo Rumiz. L’ho accompagnato in Zona rossa, fra le rovine dell’Aquila. Volevo che vedesse quelli che per me già erano il simbolo della città: i gigli in ferro battuto, posti alla fine delle catene di ferro che sorreggevano i muri maestri dei palazzi aquilani. Resistono ancora, infatti, sulle pareti crollate. Ognuno dei 55 racconti è un giglio. Ogni testimonianza ha una foggia e una forma diversa. Ma hanno senso solo se ci sono tutte, e tutte insieme; se saranno ad ogni cuspide, ad ogni cantone di ogni casa, di ogni palazzo che verrà ricostruito nella nostra città e nei paesi limitrofi.
I gigli — se lo vorremo fortemente — saranno di nuovo ancora sui muri delle case ricostruite, anche per coloro che verranno. A rendere testimonianza di coloro che non ci sono più, ma anche del nostro esodo, di un altro attraversamento. Di questa storia.