L’opera di Tony Spada contiene nel titolo le due colonne che ne sostengono l’impianto (un po’ come, fatte le debite proporzioni, era il compito di Yakin e Bo’az nel Tempio di Salomone): il sogno e l’ecologia. C’è, però, altro.
Chi ha dimestichezza con le letture fantastiche troverà, infatti, quattro filoni aggiuntivi che rendono il romanzo una piacevole incursione in un mondo contraddistinto da un’estrema levità e da allegre colorazioni.
La prima miniera, quella da cui Tony Spada ha tolto meno materiale, è costituita dal Piccolo Popolo. Cioè Elfi, Nani, Fate, Gnomi, Folletti e tutti gli altri rappresentanti del magico Reame di Feeria, un mondo insolito che si rivela luminoso e scintillante e le cui frontiere di foschia e d’illusione ci circondano da ogni parte. Frontiere che, come la marea che si ritrae, possono svelarci, all’improvviso e a determinate condizioni indipendenti dalla nostra volontà, la Terra dell’Altro Regno, prima di chiudersi celandola di nuovo.
La seconda miniera, quella visitata in modo tutt’altro che frettolosa, è data dalla cosmogonia nordica. Secondo la Tradizione, tra la terra e il cielo venne posto il ponte di Bifrost, l’arcobaleno, che soltanto gli dèi possono percorrere.
Asse di questo universo, creato dai resti del corpo del gigante Ymir, è il frassino Yggdrasil, l’Albero del Mondo, che tutto avvolge nella sua chioma e che possiede tre radici, sotto ciascuna delle quali si nascondono cose meravigliose: una che va a finire nella Terra degli Asi, una seconda nel gigantesco crepaccio da cui fu generato Ymir e l’ultima nel Mondo delle Tenebre.
L’albero magico nell’isola di Iceoakland, cioè la gigantesca quercia che, fatta crescere al Polo Nord, col suo peso ha il compito di bilanciare la Terra rispetto al proprio asse e di non fare più ragionare i suoi abitanti in modo sbagliato, assurge così al ruolo di insostituibile fulcro capace di mutare la realtà.
La terza miniera, quella che ha fornito materiale per la parte centrale del romanzo, ha l’aspetto d’una nave, l’“Aquila Dorata”, del capitano Knikos che scorrazza in lungo e in largo per i mari della Nuova Terra in cui il protagonista, Andrew, compie l’esperienza più entusiasmante della propria vita, scoprendo anche l’amore con la bella Prisha.
Il ricordo va ad altre opere “marinare”, ma qui non s’esplora il lato terrificante del “Glen Carrig” di William Hope Hodgson (Naufragio nell’ignoto) o quello più prettamente avventuroso dei celeberrimi romanzi di Conrad e Melville, bensì la piacevolezza del quasi metafisico Viaggio del veliero di C. S. Lewis, uno dei romanzi del ciclo delle Cronache di Narnia. Mi riferisco al capitano lord Drinian che, col suo “Lady Alba”, porta re Caspian e i suoi quattro amici Pevensy fino alla Fine del Mondo.
La quarta e ultima miniera, quella più saccheggiata da Tony Spada, si collega alla spina dorsale del romanzo, il passaggio in una dimensione di pace e d’amore in cui Andrew viene portato dal potente Xylo. Non si può fare a meno, allora, di sentire l’eco non tanto delle simboliche ed esotiche opere dell’“archeologo del meraviglioso” Abraham Merritt (Il volto nell’abisso e Gli abitatori del miraggio su tutte), quanto del sempreverde Orizzonte Perduto di James Hilton.
Una delle avventure più bizzarre e più soavi che la nostalgia umana possa desiderare vide la sua pubblicazione nel lontano 1933 ed ebbe due versioni cinematografiche, quella del 1936 (con la regia di Frank Capra) e quella, meno memorabile, del 1972 per la regia di Charles Jarrott.
Per quei pochissimi che non conoscono il libro o la versione cinematografica si parla di un aereo su cui viaggiano cinque occidentali in fuga dalla Cina durante l’invasione nipponica e che viene dirottato sulle montagne himalaiane. Qui vengono soccorsi e portati in una valle nascosta del Tibet dove sorge Shangri-La, utopica patria della giovinezza perenne, dove la vita s’è fermata e dove il suo popolo vive in pace e in serenità: un vero paradiso terrestre posto al di fuori delle brutture del mondo!
Tony Spada non ci descrive un mondo diverso, se si fa eccezione per l’isola-purgatorio di Zartacla, dove dimorano le persone che non desiderano seguire le Sette Regole d’Oro, fondamento d’una esistenza in armonia con gli altri esseri viventi.
Un libro gradevole quello che state per leggere, da consumare tutto d’un fiato perché l’atmosfera che vi si respira è talmente delicata e magica da non sopportare d’essere centellinata. Qui, infatti, più che l’azione, trionfa il sogno dell’azione.