Santo Sgroi

Giustizia all'alba

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti 1999

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     Un paesino dell’entroterra siciliano, assolato e sonnolento, dove la vita quotidiana è scandita da secoli da leggi ferree, non scritte ma che tutti rispettano pena l’ostracismo dalla comunità; un paesino come ce n’erano tanti in Sicilia cinquant’anni fa, ma come ce ne sono ancora adesso. Una società dove la donna era costretta a vivere di ricami, di sogni, di amori contrastati, senza nessuna, o quasi nessuna, possibilità di affermare se stessa, i suoi desideri, la sua personalità.
     Questo lo sfondo di Giustizia all’alba, che Santo Sgroi, scrittore che ha al suo attivo numerosi romanzi e racconti ambientati nella sua Sicilia natale, e che ha già ottenuto lusinghieri consensi di critica anche in campo nazionale, ha costruito utilizzando magistralmente la sua abilità di romanziere d’intreccio, e dove il susseguirsi di colpi di scena terrà il lettore in sospeso sino all’ultima pagina.
     Una Sicilia per molti versi selvaggia, passionale, aspra come il suo paesaggio dominato dalla pietra lavica, ma anche greve di sotterfugi ed ipocrisie ancor oggi duri a scomparire, e sui quali molti personaggi attuali di primo piano sulla scena politica si accaniscono per offrire l’immagine di una terra arretrata, immobile, quasi putrescente.
     È significativo che in quest’opera di Santo Sgroi grandissima importanza venga invece accordata a tutti i personaggi femminili della vicenda: Rosa, la giovane donna innamorata, Donna Gesualda, la vecchia balia sempre pronta a sostenere e a difendere la sua padroncina, e infine Sara, la madre costretta da anni su una sedia a rotelle, ma che per amore della figlia trascenderà la sua invalidità fisica per difenderla dalle mire quasi incestuose di un tirannico e violento patrigno.
     Questa donna siciliana, che tanta letteratura ci ha dipinto come rassegnata, in balìa delle prepotenze maschili, difesa e al tempo stesso tenuta come in schiavitù dalla società patriarcale che la circonda, viene invece dipinta da Santo Sgroi quasi come una forza primordiale, che in nome del suo più reale ed autentico destino femminile riesce ad erodere sotterraneamente l’universo dominato dall’uomo nel quale è costretta a vivere senza mai poter ribellarsi né interferire, svelandone le magagne, i vizi inconfessabili, l’autorità fatta solo di violenze, ricatti ed imposizioni.
     Giustizia all’alba, che ad una superficiale lettura potrebbe sembrare una delle tante storie d’amore con la canonica chiusa a lieto fine, si svela invece, appunto per il ruolo predominante assegnato alle figure femminili, come un romanzo incentrato sulla polemica contro il ruolo maschile in Sicilia, ruolo che, cinquant’anni fa come oggi, specie nelle zone più interne, risponde benissimo alla descrizione fattane da Santo Sgroi.
     Ed ecco che i due personaggi maschili della storia, don Cirino Vadalà, il tirannico patrigno, e Rico Conte, innamorato di Rosa, sembrano agire solo come contraltare alle figure femminili, per porne in rilievo tutto il coraggio e la determinazione. La violenza del primo, infatti, viene alla fine vinta da una povera paralitica la cui unica arma è l’amore per la figlia, mentre sarà Rosa, e non Rico, a lottare in modo concreto per il suo amore, a porre volontariamente e coscientemente “l’irreparabile” tra se stessa e le mire incestuose del patrigno, utilizzando ai suoi fini proprio quell’ipocrito codice sociale siciliano che poneva al di sopra di tutto l’illibatezza della fanciulla in età da marito.
     In questa chiave di lettura, acquistano naturalmente una nuova profondità e un diverso significato anche i numerosi squarci descrittivi dove Santo Sgroi, da buon conoscitore della sua terra natale, pennella con abile mano molte tradizioni siciliane: la fera o luni, la fiera del lunedì, momento di aggregazione sociale della realtà paesana, durante la quale avviene il primo, fortuito incontro tra Rosa e il suo innamorato; le “informazioni” prese in vista di un fidanzamento ufficiale, vera e propria “operazione inchiesta — qualcosa di quasi impercettibile, un po’ ambigua, sotterranea, venata di omertà come si usa in Sicilia”, e al cui scopo vengono usati strani personaggi “dalle mosse guardinghe”, in coppola nera, che sembrano sbucati dal nulla e paiono avere mille occhi e mille orecchie; la mavara, magiara o strega del paese, sordida figura di vecchia le cui arti magiche si svelano quasi sempre come frutto di furbizia, fortuna e di un tantino di elementare psicologia.
     E sullo sfondo gli elementi caratteristici del paesaggio siciliano: la sua estate sfavillante di luci e di colori, le campagne quasi calcinate dal cocente sole mediterraneo e infine il mare, elemento primordiale di ogni realtà isolana, dinanzi al quale, simbolicamente, si compie la vicenda amorosa di Rosa e la sua definitiva liberazione dal patrigno.

Giuliana Cutore