Santo Sgroi

Clemenza alla Squadra Omicidi

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti 2000

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     Il giallo italiano, considerato sino a pochi decenni fa come l’elemento più debole di un genere dominato dagli autori di lingua inglese, si è pian piano conquistato una sua dignità ed una sua originalità, svincolandosi sia dalla cerebrale tradizione investigativa i cui maestri sono stati Sir Arthur Conan Doyle, Agatha Christie e Rex Stout, sia dal filone violento dell’hard boiled americano alla Hammet e Chandler, per ritagliarsi uno spazio tutto suo, dove l’indagine si sposa felicemente alla descrizione d’ambiente e della psicologia dei personaggi, ruotando intorno alla figura del detective, di volta in volta un poliziotto privato, un commissario di polizia o anche un cittadino qualunque, le cui doti, più che il brillante intuito o una concezione quasi filosofica e metafisica del delitto, sono invece una profonda e partecipe umanità, l’attenzione ai particolari e un po’ di buon senso, che ne fanno, insieme alle sue piccole manie e magari a qualche difetto fisico, una figura nella quale il lettore può agevolmente immedesimarsi, senza considerarlo come un genio irraggiungibile o un individuo assolutamente fuori dall’ordinario, come i mitici Poirot, Scherlock Holmes e Nero Wolfe.
     Giallisti come Franco Enna, a lungo penalizzato dal predominio anglosassone, come Loriano Machiavelli e come l’arguto e ironico Andrea Camilleri, hanno così dato vita a investigatori a metà tra l’uomo di tutti i giorni e il pacifico Maigret, vero e proprio anello di congiunzione tra la tradizione inglese e quella italiana, avvicinando sempre più il pubblico al poliziesco italiano, complice anche la televisione, che ben ha saputo cogliere e sfruttare questa peculiarità del giallo nostrano.
     Anche Santo Sgroi, autore prolifico già ben noto al pubblico italiano, e incline per sua natura agli aspetti più avventurosi e godibili della narrativa, ha voluto cimentarsi con questo genere, creando una simpatica figura di poliziotto, Clemenza, che, come i suoi colleghi cartacei e televisivi, unisce ad una profonda carica umana, che più del brillante intuito lo soccorre nella soluzione dei casi che giorno dopo giorno gli si presentano in questura, tutta una serie di bizze, piccole manie e acciacchi che lo rendono un personaggio concreto, reale, al quale il lettore non potrà non affezionarsi, seguendolo passo passo nelle sue indagini volte a stanare non criminali internazionali o geni del crimine, ma uomini comuni che, per un motivo o per un altro, per passione, per avidità o per nascondere un vizio inconfessabile, si sono macchiati di un delitto.
     Armato delle sue pillole contro i dolori reumatici, e sempre seguito dalla sua spalla, un giovane poliziotto che talvolta riesce a dargli anche qualche prezioso suggerimento, Clemenza dipana aggrovigliate matasse, ascolta giovanotti alle prese con terribili scrupoli di coscienza, interroga cameriere, segretarie e liceali, tentando sempre di non lasciarsi coinvolgere dal singolo caso umano, borbottando e lamentandosi, inforcando occhiali dei quali non ha nessun bisogno e che gli servono solo per darsi un tono, disperando talvolta di riuscire a venire a capo di un delitto particolarmente intricato o di acciuffare il colpevole prima che accada l’irreparabile.
     Sullo sfondo di una cittadina sonnolenta, come tante ne esistono ancora nel Meridione d’Italia, con i suoi palazzi antichi dove il tempo sembra essersi fermato, le sue stradine lastricate di pietra lavica, le sue vecchiette pettegole che trascorrono le giornate a spiare dai balconi socchiusi, le sue giovani donne che per sfuggire alla miseria sposano anziani danarosi per poi cadere vittime del fascino virile di un giovane stalliere, l’ispettore capo Clemenza si muove con lo stesso ritmo lento, disdegnando cellulari, computer e siti Web, per compiere le sue indagini col solo ausilio della sua mente e della sua logica, fiero talvolta di aver smascherato un assassino, o di aver fugato gli inesistenti scrupoli di un ragazzo vittima di una nevrastenica, ma qualche volta anche perplesso e sfiduciato, quasi stizzito con se stesso per essere costretto a compiere il suo dovere, come nell’ultimo caso, dove un fortuito incidente rischierà non solo di attirargli dei guai ma anche, cosa che lo seccherà moltissimo, di rendere estremamente arduo e disagevole il suo tanto atteso e sospirato collocamento a riposo.

Giuliana Cutore