Rossano Onano

Artificialia

Presentazione di Anna Ventura

Tabula fati, Chieti, Settembre 2005

 



Presentazione di Anna Ventura



     La poesia di Rossano Onano è come un bosco in cui ci si inoltri, di notte, senza mete prefissate, né mappe da seguire: si entra e si cammina, con l’orecchio teso alle voci che vengono dal folto: ora forti, gridate, ora sussurrate, suadenti, e poi risate improvvise, singhiozzi, bisbigli, canti.
     Qua e là, alla luce di una luna che si intravede tra i rami, è possibile individuare la traccia di un sentiero, e allora conviene percorrerlo, e scoprire dove porta.
     Il primo è quello della donna, che poi dirama verso innumerevoli altri approdi.
     Dire donna è poco, perché è restringere il campo alla sola specie umana, mentre l’esplorazione è molto più ampia: si ricerca, forse, una matrice, che è il principio stesso dell’essere, la radice di ogni presenza viva sulla terra: e allora, non solo la donna, ma ogni essere di genere femminile concorre a delineare l’archetipo, nelle sue molte sfaccettature.
     Mi sembra, anzi, che la femmina dell’animale si carichi di una simbologia più forte, e quindi indichi, meglio di quella della specie umana, il suo potere di bene e di male, di vita e di morte, di salvezza e di dannazione.
     Qualche esempio. La femmina “per sua natura estrosa e appetitiva / che impegna l’animale pauroso / in terribili giochi d’amore”. Si noti quell’aggettivo, “pauroso”; sarà ripetuto altre volte, a indicare il timore del maschio di fronte alla femmina spietata e dominatrice.
     La cagna che “guaisce / commossa di desiderio, spalanca a fame/ d’aria le fauci feroci, i lucidi denti canini”. Qui c’è un altro aggettivo ricorrente, “feroce”, che significa la ferinità, la bulimia, la violenza. Le femmine dell’orangutan, che Marco Polo descrive a Rustichello (e lo prega di non scrivere): “hanno la quieta pancia / enorme e le mammelle piccole, ci aspettano / silenziose mostrando la grande vulva aperta, / ... mandano timidi suoni gutturali / alla nostra paura dal limitare del bosco”.
     Ma non tutte le bestie al femminile hanno aspetto e simbolo di minaccia: la cerva, per esempio, è segno di mitezza e di grazia, di sottomissione e di possibile vocazione al sacrificio: “la cerva al vento dell’agguato”; “la cerva d’amore”.
     Parallelamente, la femmina dell’uomo può essere proterva e aggressiva, ma anche dolce e gentile. Ma, forse, le figure più artisticamente riuscite sono quelle che appartengono al mondo esotico, al mito, all’immaginario maschile che le teme e le insegue: la “passatrice” scura e misteriosa, che scompare sulle colline fiorite; la terribile “donna opaca”, biancovestita, che compare tra il fumo di Auschwitz; la sirena ricciuta che “spalanca le scaglie dolorose”, perché soffre per la carestia di marinai tatuati.
     Il sentiero della donna porta a quello dell’acqua, elemento primordiale, in cui la femminilità celebra i suoi riti e sceglie i suoi simboli: primo tra tutti, quello dell’amore e della vita.
     A contrasto, l’arsura sta a significare la rovina, la “terra del Drago” in cui non c’è vita, non c’è amore, ma solo desolazione e secchezza.
     All’uomo, all’essere di genere maschile, spesso minacciato dalla forza tellurica delle donne, resta la fuga nel viaggio, la ricerca di un’identità che è altrove, nella sfida e nella lontananza: Marco Polo, che scopre la terra degli orangutan; o Marco Pantani, “omino d’aria / che spiana le montagne a denti chiusi” e che ha avuto il coraggio di respingere la “retorica delle redenzione”.
     All’acqua si connette il mare, altro “topos” della poetica di Onano, con tutta la vasta simbologia che vi si connette; dal mare deriva la parola “marinaio”, usata spesso con valore di aggettivo. Gli aggettivi, in Onano, hanno una particolare pregnanza, e meriterebbero uno studio a sé; mi piace particolarmente “maternale”, e mi piace ancor più incontrarlo a significare la lingua natia, questo mirabile segno di civiltà ,che è a serio rischio di estinzione: “Mia lingua maternale, mio presepio / di pastoresse e di massoneria, / mi pronunci un’ipotesi, o una qualche / categoria, prima di scomparire?”
     La poesia di Onano è una materia densa e viva, un magma da cui emergono, a tratti, bagliori e sussulti, boati, esplosioni.
     Nel magma c’è la realtà presente, con le sue tecniche precise e inesorabili, le algide scoperte della scienza, sorde a ogni pietà e, parallela, c’è la forza primordiale della natura, incontrollabile, violenta, che sbigottisce il “cuore pusillo” degli uomini, crea disastri e bellezza, governa la terra da indiscussa padrona. Lo scandaglio tenace del pensiero del poeta affonda nella vasta materia, con consapevolezza dolorosa, ma anche con sottesa ammirazione, sostenuto da una fantasia lussureggiante, da un lessico espertissimo e innovatore, da un ironia sottile, quasi dissimulata.
     Quanto basta perché valga la pena di avventurarsi nel bosco della poesia di Rossano Onano: il piccolo prezzo di qualche smarrimento iniziale, a cammino appena intrapreso, il graffio di qualche pruno, nei passaggi più ardui, verranno ampiamente ripagati dall’incontro con un discorso artistico nuovo, sorgivo, inimitabile, che ci riscatta dalla cupa monotonia di tanti poeti laureati.

Anna Ventura