Può un’opera narrativa interrogarsi continuamente sul più profondo senso della vita umana e nello stesso tempo spingere il lettore a farlo, mantenendo però una trama avvincente, dove gli avvenimenti si susseguono a ritmo incalzante, pur nella loro estrema pregnanza simbolica?
È certo un’impresa difficile, per la quale sono necessarie notevoli doti di equilibrio; in questa impresa è riuscita Adriana Nicoletti con la sua opera d’esordio Il volo invisibile degli angeli, intenso e modernissimo conte philosophique, indagine sul significato più autentico dell’esistenza, non riconducibile alle stereotipe immagini quotidianamente offerteci dai massmedia, né tantomeno alle varie e più o meno gelide etichettature di un facile psicologismo.
Per la Nicoletti, invece, “ogni esistenza è sacra… ogni uomo ha in sé qualcosa di divino e di infinito”: il senso più riposto ed autentico dell’esistenza umana sta proprio nell’infinita infelicità del finito, la possibilità infinita per noi, esseri finiti e delimitati dalla nascita e dalla morte, di godere, amare, conoscere e di converso soffrire, esposti alla possibilità del non-senso, realtà dalla quale nessuna rassicurante immagine “potrà mai proteggerci” definitivamente.
Al centro di questa problematica esistenziale, abbeveratasi alla fonte della riflessione fenomenologica contemporanea (da Husserl, Heidegger e Merleau-Ponty fino a E. Levinas, P. Ricoeur e J.L. Marion), sta l’amore, forza spirituale e conoscitiva che affonda le sue radici nella dimensione carnale, amore nella sua duplice valenza di apertura verso il mondo e verso gli altri nella dimensione dell’incontro e di serena accettazione della nostra finitezza.
È solo l’incontro con l’amore che apre l’uomo alla vita nella sua pienezza, perché è proprio l’amore ad insegnare che “è la morte a far parte della vita… nonostante tutto il dolore”.
Ed è ancora l’amore che dona il suo senso più autentico alla nostra fisicità, al nostro corpo: noi siamo il nostro corpo, esso è parte essenziale del nostro esserci, ci fa conoscere il mondo in una maniera più intuitiva ed immediata, ma non per questo meno valida e cogente, della nostra mente. Dobbiamo amare il nostro corpo, perché esso non è soltanto un involucro, ma uno dei modi, e forse il più vero, di aprirci agli altri, di percepire l’orizzonte della nostra temporalità autentica; ed è forse proprio grazie al corpo che l’heideggeriano essere gettato nel mondo dell’esserci può umanisticamente essere inteso come “un essere stati donati a se stessi”.
In questa moderna dimensione esistenzialistica, che è anche e soprattutto una dimensione della memoria come orizzonte soggettivo della temporalità, Adriana Nicoletti crea anche una nuova struttura romanzesca, dove i momenti puramente narrativi si alternano a quelli di riflessione, inserendo in tal mondo sempre diverse e più profonde sfaccettature tematiche, alle quali ben si adatta la prosa allusiva, reticente ma al tempo stesso multisemantica dell’autrice, una prosa colma di tensione dialettica, desiderosa di esprimere, sia pure a sprazzi e per illuminazione, come in una Lichtung, l’inesprimibile dell’avventura umana.