Velenosa o semplicemente pungente, ironica o grottesca, talvolta cannibalesca nella sua violenza, per dirla con Walter Benjamin, la satira non conosce né conoscerà mai confini geografici o temporali. Dai tempi della Roma pagana, dove il grande Orazio si divertiva a sbeffeggiare amici, politici e cortigiani, a quel capolavoro ironico che è Il Giorno di Giuseppe Panni, sino ai sonetti di Porta e del Belli o agli animali parlanti del grande Trilussa, la poesia, solitamente luogo privilegiato dell’effusione lirica o del sublime affresco allegorico, ha prestato volentieri le sue armi, dalla rima, all’endecasillaho, all’enjambement, sino al celebratissimo sonetto, a chi volesse fustigare vizi, ipocrisie e malcostumi dell’epoca in cui viveva.
Oggi che la poesia ha pressoché abbandonato le sue forme classiche, cedendo il passo ad un frammentario universo lirico dove la rima è quasi scomparsa, insieme ad ogni limitazione metrica, per lasciare il posto all’icasticità folgorante ed esasperata dell’ermetismo e del post-ermetismo, o a forme sempre più ardue e complicate di sperimentazione, non potrà non stupire questa agile raccolta di versi di Maria Leopizzi, dal programmatico titolo Le mie verità.
Il lettore sulle prime faticherà un poco a capire,tale è l’abilità mimetica della poetessa, di che tipo di raccolta poetica si tratti in realtà: ma pian piano, districandosi tra le rime baciate, le allitterazioni e le assonanze, indubbio retaggio di una lunga e proficua frequentazione con l’alta tradizione poetica italiana, non tarderà a scoprire la vena ironica dell’autrice, che a i luoghi più triti e abusati del bagaglio lirico, riproposti come un’abile cantilena, mischia all’improvviso lo sberleffo, la caricatura, e talvolta la parolaccia, che fanno cadere come un’impalcatura di cartone tutto l’altisonante armamentario costruito per rendere più forte la sorpresa finale.
Si veda, tanto per fare un esempio, questa quartina da Cuore indomito, la lirica che apre la raccolta: «Il mio cuore dà scacco / è geloso e vigliacco, / con la mente non è in sintonia / si comporta come un’arpia». Oppure Marco, dove il tema dell’adorato primogenito, croce e delizia di tante liriche e poeti della domenica, si tramuta in una divertentissima caricatura dell’amor di mamma: «È un bel ragazzo dall’aspetto oltre ogni dire / ma conciato in tal modo da far inorridire. / Si abbiglia scaciato in qualsiasi occasione, / concia la capigliatura in un’unta versione. / Difatti i capelli puliti, sullo cute spiaccicati / da una mucca, danno l’idea, di essere leccati».
La vena corrosiva di Maria Leopizzi sembra non voler risparmiare nessuno: dai colleghi d’ufficio, alle amiche di scuola, ai figli, al capufficio, sino ai più celebrati, altisonanti e pubblicizzati nomi della politica italiana, primi fra tutti Umberto Bossi e Antonio Di Pietro, entrambi omaggiati di una lirica.
Ed è qui che si svela l’afflato più autenticamente italiano della satira della Leopizzi, una satira che nella tematica civile, morale, e politica ha trovato i suoi accenti più alti, icasticamente rappresentati nei famosi versi di Parini che ritraggono il giovin signore come colui che “da tutti servito a nullo serve”.
Specialmente in Amor Patrio, dove il bersaglio privilegiato è Bossi, la Leopizzi escogita versi dove la perfidia ironica si sposa felicemente ad una riflessione che molti in Italia avranno fatto in cuor proprio: «Di certo è un megalomane, ce ne sono tanti! / Ciò che sorprende è il gruppo degli astanti. / Che la follia sia una contagiosa malattia / è una realtà cruda che chiarisce l’anomalia. / È becero chi Roma ladrona ha l’ardire di citare, / se fosse uomo d’onore se ne dovrebbe vergognare».
Accenti diversi, vivamente partecipi pur nella straripante vena comica, che non sa rinunciare allo sberleffo finale di un Nota Bene, la Leopizzi trova per Antonio Di Pietro: «Hai della folla la fiducia illimitata / anche se a duro prezzo conquistata. / Di fatto ne hai ricavato oltre alle rogne, / la persecuzione del popolo delle fogne».
Quanto a Silvio Berlusconi, anch’egli tra gli ospiti illustri di questa carrellata, l’ironia si fa acida come un epigramma di Marziale: «È un capitalista di alta caratura / predica bene dal podio, ma credergli è dura! / Sa che quanto promette non è attuabile, / mente sapendo di mentire, è inarrestabile!».
E le citazioni potrebbero continuare e moltiplicarsi: onorevoli amati ma non troppo, alti, altissimi prelati, un «ex politico molto noto, / attualmente in esilio», squilibri sociali e storture italiane a più non posso: dovunque la vena corrosiva della poetessa passa come un fiume in piena, con spunti comici esilaranti ma mai gratuiti.
Un’ironia garbata e amara, amara come l’umorismo del grande Pirandello, che paragona il riso al rumore della lumaca sul fuoco, che par che rida e invece muore. Allo stesso modo l’ironia di Maria Leopizzi lascerà nel lettore l’amaro in bocca, ma nello stesso tempo riconcilierà con la poesia tanti suoi ormai accaniti nemici, a ragione stufi di liriche dolciastre, consolatorie o francamente incomprensibili nel loro sfrenato sperimentalismo.