«Il sentimento più antico e radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell’Ignoto.» Con queste parole inizia il famosissimo saggio di H.P. Lovecraft, L’orrore soprannaturale nella letteratura, nel quale il grandissimo scrittore americano ha tracciato una vera e propria biografia storica delle forme letterarie che la paura, il sentimento più antico dell’uomo, ha assunto nel corso dell’evoluzione della narrativa.
La paura, sia essa suscitata dall’irrompere dell’insolito, del perturbante, per dirla con Freud, nel mondo quotidiano del quale l’uomo presume di essere padrone assoluto e che pretende di conoscere in ogni sua piega, o dall’Ignoto, cioè da tutto ciò che all’essere umano non è dato conoscere esaustivamente, e che può essere solo intuito, immaginato o temuto, è il sentimento che gioca sovrano anche in questa nuova raccolta di Franco Fascetti, un autore che nella forma del racconto brevissimo, quasi istantaneo, ha trovato il suo modulo espressivo più congeniale, grazie anche all’utilizzo della lingua in un modo assolutamente spontaneo, parlato, dove la paratassi s’impone in maniera pressoché assoluta sull’ipotassi, dando vita ad una prosa incisiva di grande modernità.
Diavoli e vampiri, streghe e spettri costituiscono il lungo filo rosso che lega tutti i racconti di Fascetti; essi sopraggiungono inavvertiti, o dominano sin dall’inizio la scena del racconto, e il sentimento che destano è sempre e solo quello della paura, espressa ora in un urlo, ora in una morte improvvisa, ora nella fuga nella notte del protagonista. Né devono ingannare i loro nomi, spesso dotati di espliciti spunti comici: le creature del buio continuano ad essere temibili, e il loro obiettivo è comunque quello dell’annientamento della creatura umana, in un’orgia di vendetta, tormento e sangue che sola riesce a compensarli della perdita della luce, della vita, che viceversa è ciò di cui l’uomo gode in ogni istante della sua vita.
La stringatissima brevità dei racconti di Fascetti, modulo espressivo inusuale nel panorama della letteratura fantastica, caratterizzata solitamente da lenti crescendo di tensione o da ambigue ed inquietanti descrizioni di ambienti e di atmosfere, ricorda per certi versi la disadorna icasticità di certi racconti neri della Grecia antica, ancor oggi riportati nelle antologie del fantastico, che hanno come protagonista il filosofo pitagorico Apollonio di Tiana, uomo dotato secondo i suoi contemporanei di grandi poteri taumaturgici: in questi racconti l’assenza della descrizione in funzione propriamente narrativa trova la sua funzionalità appunto nell’esaltazione della linearità della vicenda orrorifica, che si snoda completamente in poche scarne righe, quasi non dando tempo al lettore di prendere familiarità e dimestichezza con l’orrore celato in essa.
Allo stesso modo i racconti di Fascetti, intercalati da intermezzi in versi che, quasi per un pirandelliano sentimento del contrario, svelano il diavolo nella sua veste più buffonesca e triviale, s’impongono alla fantasia del lettore, oltre che per la loro brevità, anche per una sorta di ambientazione atemporale, come in un dramma recitato a palcoscenico vuoto, ambientazione che viene esaltata e resa funzionale alla forma narrativa da un’ingenuità apparente nella conduzione della vicenda, ingenuità che però svela una violenta condensazione ad effetto.
L’incubo, l’orrore e il grottesco s’intersecano tra loro, e le creature del buio si stagliano prepotenti su lande spettrali, cimiteri di campagna, crocicchi e case abbandonate, in un fulmineo crescere di tensione che sembra quasi annientare i protagonisti dei singoli racconti e ogni loro capacità di reagire. Oppure paiono volere dilazionare l’orrore, quasi a concedere una tregua apparente che cela una sadica volontà di prolungare il tormento e la paura, ed allora parlano, si manifestano pienamente, svelando pian piano le loro reali intenzioni, la loro missione di vendetta, di rivalsa, di odio.