Lucia Di Nardo

Pane e Zucchero

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti 2003

 


Presentazione di Giuliana Cutore


     La vita moderna, con i suoi ritmi rutilanti e frenetici, ma anche con gli indubbi vantaggi derivanti dalle moltissime opportunità lavorative, sociali e mondane offerte dalle grandi metropoli, sia del Nord che in parte anche del Sud, ha pian piano ma inesorabilmente strappato o quantomeno allontanato dalle proprie radici familiari e regionali molti uomini e donne, finché un momento di pausa, di sospensione temporale, non li riporta improvvisamente indietro nel tempo e nello spazio, riconducendoli ad un passato o a una dimensione più propriamente umana che non ha mai smesso di dormicchiare, nascosta in paziente attesa, nel loro animo.
     Ed è questo quel che accade alla protagonista di Pane e zucchero. Ricordi e solitudini estive, suggestivo viaggio nella memoria ma anche nelle sensazioni che un’improvvisa lacuna esistenziale, scatenata dal caldo, da una ricorrenza, talvolta anche da un evento imponderabile, desta negli animi e nelle menti di coloro che ne cadono improvvisamente prede.
     Non a caso questa interessantissima seconda prova di Lucia Di Nardo (che segue il romanzo d’esordio Il genio mancino, Tracce, Pescara 2000) è divisa strutturalmente in due parti, autonome ma al tempo stesso complementari, come del resto è allusivamente suggerito nel titolo: nella prima parte la lacuna esistenziale, l’occasione montaliana, è costituita da un lutto che colpisce la protagonista, un’abruzzese proveniente da una famiglia di proprietari terrieri di Fontealta, e ormai trapiantata al Settentrione, dove il matrimonio con un imprenditore milanese l’ha trasformata in una donna impegnata nel sociale e in campo economico.
     La morte del nonno, annunciata in una pigra domenica d’ottobre, la riporta indietro, in un viaggio interiore simbolicamente scandito sulle tappe fisiche del suo viaggio reale, all’infanzia segnata dalla morte del padre, dalla lontananza della madre, da tanti piccoli ma immensi legami che solo la vita contadina riesce ad annodare, riassunti in quella goloseria campestre che è il “pane e zucchero”, il dolce, la merenda dei poveri.
     E su questo sfondo trascorrono lente le ombre di una guerra ancora non troppo lontana nel tempo, con le sue vittime segrete, per sempre celate alla storia: la Mutarella, cui i tedeschi tagliarono la lingua perché non aveva voluto rivelare il nascondiglio di alcuni partigiani; o Rica, la fedele governante, vittima anche lei di una violenza bestiale che l’ha segnata per tutta la vita.
     Il tema del viaggio come momento di pausa e riflessione, che può aiutare l’uomo a recuperare la propria autenticità, ritorna anche in alcuni dei bozzetti che costituiscono la seconda parte della narrazione; i protagonisti sono stavolta personaggi preda della solitudine estiva, altro momento privilegiato nel quale ricordi, sentimenti e nostalgie riemergono prepotenti negli animi liberi dalle incombenze lavorative; oppure giovani donne segnate da una diversità, esistenziale o di abitudini, che si erge come un muro fra loro e gli altri; o ancora una matura coppia di coniugi, che un viaggio a Venezia imposto dalla figlia riunisce al di là delle parole e degli eventi reali.
     Figure vive, umanissime, palpitanti, che sembrano additare la possibilità di un modo diverso di vivere, un modo che riesca finalmente a conciliare sentimento e ragione, esistenza e sociale, salvando ciò che di buono e essenziale le radici di ognuno di noi continuano, nascostamente, a donarci.

Giuliana Cutore