Fiorella D'Ambrosio

L'ultima estate di Carolyn

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti 2003

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     Il giallo italiano rappresenta da sempre un genere assolutamente diverso dai suoi simili di matrice anglosassone o americana: immune dai complicati virtuosismi d’indagine che hanno reso celebri autori come Sir Arthur Conan Doyle, Rex Stout e Agatha Christie, e vicino invece alla bonomia tutta francese del Maigret di Simenon e alla sua quotidiana umanità che permette una maggiore e più incisiva immedesimazione da parte del lettore, il poliziesco nostrano dà il meglio di sé quando il crimine che dà la stura alla vicenda rappresenta soltanto una parte di quest’ultima e lo spunto per riflessioni e descrizioni, talvolta anche dense di umorismo, che relegano quasi in secondo piano la soluzione del mistero.
     Fedele a questa feconda impostazione, del resto ancor oggi seguita, e con un notevole successo di pubblico, dai maggiori autori italiani (basterebbe citare Camilleri, Lucarelli, Trevisan), Fiorella D’Ambrosio ha imbastito una storia di pregnante originalità, sia da un punto di vista strutturale che narrativo in senso stretto.
     La vicenda prende lo spunto da un macabro delitto, la cui vittima è una giovane americana in visita presso una coppia di mezza età: Fausto e Lavinia, protagonisti in gioventù di una appassionata storia d’amore, interrotta e ripresa dopo un lungo periodo. Fausto, grande amico del padre della giovane Carolyn, uomo di grande cultura, rispettato e stimato nella cittadina abruzzese nella quale si è finalmente stabilito dopo un lungo peregrinare, accoglie la ragazza per l’estate, per farle conoscere l’Italia e per aiutarla a superare definitivamente la morte del genitore, avvenuta poco tempo prima.
     Carolyn, che ha legato con un gruppo di giovani del luogo, trovando forse anche l’amore, viene trovata morta, in circostanze misteriose, alla vigilia della partenza per un lungo giro turistico per le città italiane, organizzato dal previdente Fausto.
     Sin qui il modulo classico del romanzo giallo: il delitto, l’indagine, i sospetti, lo scavo nella vita dei protagonisti. Ma interessante è il modo in cui questo scavo viene condotto: assente la figura per eccellenza del poliziesco, il commissario o l’investigatore privato, la ricostruzione della vicenda viene affidata a quella sorta di cassa di risonanza che è costituita dagli abitanti di un condominio, ancor più efficace e informata quando questo condominio si trova in un piccolo centro ed è costituito in buona parte da pensionati e casalinghe.
     Le chiacchiere si intrecciano alle chiacchiere, i sospetti ai sospetti, le ipotesi alle ipotesi e su questo sfondo vivace e a tratti comico, dove l’autrice dispiega tutta la sua vis coloristica, in un incalzare di dialoghi che avvincerà il lettore, si stagliano opachi e lontani i poliziotti e gli inquirenti, fino al ritrovamento del diario della ragazza, diario nel quale sono fedelmente annotati gli avvenimenti del periodo immediatamente precedente la sua morte.
     Scatta qui la grande originalità della D’Ambrosio: è come se la vittima stessa ritornasse in vita attraverso le pagine di un affettuoso diario-lettera, il cui interlocutore è il padre. Spenti gli echi delle chiacchiere e delle supposizioni pettegole, comincia a farsi strada la soluzione, ma una soluzione soltanto probabile, perché in effetti tutto viene affidato all’intuito del lettore e comunque rimangono sempre possibili diverse alternative, e nello stesso tempo anche la personalità della vittima, una ragazza spigliata, semplice, probabilmente troppo bella e appariscente per una cittadina di provincia, involontario crocevia di passioni maschili, delle quali forse non è riuscita nemmeno ad intuire i pericoli…

Giuliana Cutore