Una delle costanti dell’itinerario narrativo di Silvana Cellucci sembra essere l’indagine sul comportamento umano cosiddetto “deviato”: l’autrice è costantemente alla ricerca di situazioni che meglio possano esprimere, e al tempo stesso permettere di capire, tante azioni e atteggiamenti umani che una troppo frettolosa e senz’altro moralistica ricerca definisce sbrigativamente immorali o delittuosi.
Questo romanzo, terza prova narratrice di una scrittrice che ha dato e continua a dare prova di rara capacità di esplorare sin nei suoi meandri più reconditi la mente e i comportamenti umani, inizia quasi in sordina, nello scenario incantato di una villa circondata da un gran parco, con un’anziana nobildonna che, seduta accanto al fuoco, racconta a se stessa e ai cani accoccolati ai suoi piedi quella che a prima vista si sarebbe tentati di definire una delle tante dolciastre storie d’amore che tante lagrime facevano versare alle nostre nonne. Dopo poche pagine, però, si affaccia subito la costante principale della ricerca narrativa della Cellucci, che il lettore avrà già avuto modo di riscontrare nella Canzone di Solwejg: i deleteri ed inimmaginabili effetti della violenza, psicologica o fisica, sulla mente infantile. Qui la violenza sta in un trauma, in qualcosa che la protagonista ha intravisto da bambina spiando dal buco di una serratura, e che ai suoi occhi ha mutato, istantaneamente, il padre e dunque qualsiasi uomo, in un mostro spaventoso e crudele, dal quale la donna può aspettarsi solo violenze ed umiliazioni.
Fanny, un’aristocratica fanciulla dell’Italia di fine Ottocento, nata da genitori unitisi in matrimonio per convenienza e che del formalismo borghese hanno fatto per tutta la vita lo schermo dei loro vizi e dei loro reciproci tradimenti, cova dunque in sé, fin dall’infanzia, un’irrefrenabile aspirazione alla purezza e una volontà assoluta di emancipazione sociale ed individuale, vissute quasi come una rivalsa contro l’atteggiamento lascivo del padre, e del nonno prima, nei confronti di tutte le donne di casa. Dotata di un’indole sensuale e appassionata, la fanciulla lotta disperatamente contro se stessa, nell’odio per l’uomo e nella contemporanea ricerca disperata di un amore puro, idealizzato, che non abbia bisogno del contatto fisico per mantenersi in vita.
Divisa tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, la psiche di Fanny sublima continuamente questa sua scissione, da un lato grazie all’amore nei confronti di un servo, e dall’altro abbindolando tutti gli uomini che la corteggiano col fingersi, assumendone il nome, una delle tante grandi amanti del passato il cui nome è rimasto eternamente legato al poeta, al musicista, o al condottiero che le amò.
Anche nella realtà, quasi a complicare questa scissione psichica, Fanny non è ciò che lei stessa crede di essere, così come il servo che l’ama sin da bambina non è un servo, ma uno dei tanti figli illegittimi che la nobiltà spargeva dietro di sé, frutto di amori occasionali con serve, sguattere e contadine. Si snoda così, all’interno della trama narrativa principale, una complicata serie di agnizioni alla fine della quale i ruoli sociali dei due protagonisti verranno completamente ribaltati.
Su questa ambiguità di fondo la Cellucci svolge una vicenda appassionante, che non risparmia colpi di scena al lettore, e dove ogni singolo frammento di storia ha la sua funzione nel delineare una complessa personalità patologica, ai limiti della paranoia nella sua smania ossessiva di purezza: sin dal titolo infatti ricorre, come un tenue filo che lega assieme gli elementi apparentemente scompaginati della vicenda amorosa tra Fanny e Tazio, il termine vestale, simbolo e metafora di una purezza e di una castità che la donna che sceglieva di divenire sacerdotessa di Vesta si autoimponeva in nome di una sacralità della patria e della famiglia che andavano salvaguardate ad ogni costo e con qualunque mezzo. E allo stesso modo la giovane Fanny si impone una castità esclusiva, che le ulteriori vicende della sua esistenza concretizzeranno come l’unico modo che le resta per sopravvivere, sia fisicamente che psichicamente, evadendo in una passionalità sublimata, puramente mentale, nella quale solo il devoto Tazio riuscirà a seguirla sino in fondo, sino cioè all’epilogo di una morte che riuscirà ad unirli più e meglio della vita.