Silvana Cellucci

Lo stemma insanguinato

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti, Ottobre 2007

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     Silvana Cellucci è una scrittrice che non esita a gestire con rara maestria le trame più intricate, dipanandole, riannodandole e svolgendole con la sua prosa elegante e forbita come una lunga lama di luce dinanzi agli occhi dello stupito lettore. Fedele a un intento di denuncia accorata dei vizi e delle magagne della società odierna, riesce a piegare a questa sua lodevolissima esigenza ogni trama, a suo agio nel genere noir come nel giallo più a fosche tinte.
     Lo stemma insanguinato è appunto un giallo dai contorni ambigui e feroci, dove l’espediente narrativo del romanzo nel romanzo trova una sua nuova e più alta espressione, unendosi all’idea della scrittura come arma e medicina contro i disagi esistenziali: la scena si apre su una dama di antica nobiltà, dal passato doloroso, che si prende cura di due trovatelli. Anni dopo, questo suo disinteressato atto di bontà darà vita ad un’oscura vicenda, che coinvolgerà i due ragazzi ormai adulti e la nipote, strana ed enigmatica figura di donna nella quale nonna e nipote sembrano fondersi in un’unità indissolubile, al di là del tempo e dello spazio.
     L’amore e l’odio, il bene e il male, l’ipocrisia più raffinata e la bontà più disarmata e disarmante si contendono la trama, ricca come sempre di colpi di scena che tengono continuamente desta l’attenzione del lettore, quasi incalzandolo a leggere il romanzo tutto d’un fiato; ma, come ogni volta accade nei romanzi di questa eccezionale autrice abruzzese, la trama a ben vedere si svela solo come una montaliana occasione per veicolare un messaggio più profondo e assolutamente imperituro.
     Emerge infatti da tutta la vicenda un senso di disincantamento nei confronti della nobiltà, della ricchezza, ombre vuote che sotto falsi splendori celano cupidigia, cattiveria allo stato puro, vizi innominabili e crudeltà gratuite; tutta la partecipazione e l’affetto di Silvana Cellucci vanno ai deboli, ai poveri, alle persone tutte dedite al bene e ad aiutare il prossimo.
     Un profondo spirito di denuncia sociale vibra nelle pagine del romanzo, e allo stesso tempo un grande anelito all’amore, inteso anche e soprattutto nelle sue forme più alte, come spregio della ricchezza in nome di una vita autentica, di rapporti umani sinceri e leali, affannosamente ricercati con grande perseveranza, anche a costo di rinunciare a cuor leggero ad ogni privilegio materiale che la ricchezza può offrire.
     Un romanzo che svela ancora una volta, qualora fosse necessario, le notevoli doti di introspezione psicologica di una scrittrice che il pubblico ha imparato ad apprezzare, preferendola, e a buon diritto, a tanti autori le cui opere, osannate da tanti successi di critica e di lettori, non riescono tuttavia a mirare diritto al cuore, additando la possibilità di un mondo migliore, dove le apparenze non la facciano più da padrone, a scapito di quei valori di umanità che soli rendono la vita degna di essere vissuta.

Giuliana Cutore