La vita moderna, con i suoi ritmi sempre più rutilanti, velocissima e tesa spesso al raggiungimento di mete esclusivamente materiali, rischia ogni giorno di più di lasciare in ombra, disattese e talvolta schernite, quelle esigenze umane che mal si accordano con gli ideali della società del benessere. È logico quindi che chi, per scelta o necessità, coltiva bisogni o interessi che si discostano da quelli della massa, divenga un isolato o cerchi altrove un appagamento.
Da qui il diffondersi nel nostro paese di dottrine religiose che tendono a superare la materialità dell’esistenza in nome di una quasi mistica unione con la divinità, o che propongono alternative nuove, che diano un’ulteriore possibilità al singolo grazie alla fede in reincarnazioni successive, che compenserebbero le ingiustizie subite nelle vite precedenti avvicinando al contempo sempre di più l’anima immortale alla definitiva fusione nella totalità divina.
Ma se questo è il risvolto spirituale dell’isolamento cui spesso ci costringe la vita di oggi, ne esiste però un altro, volto a superare le ansie, i timori e le sciagure che non trovano ascolto nel nostro prossimo grazie a compagnie più o meno prezzolate, in grado di offrire svago, conforto e momenti di evasione che possano far dimenticare lo squallore dell’esistenza di tutti di giorni.
Silvana Cellucci, scrittrice da sempre sensibile al disagio umano nelle sue più varie sfaccettature, non poteva rimanere insensibile a tale tematica, che in questo romanzo affronta prendendone in esame entrambi i risvolti. La vicenda prende le mosse dalla dottrina buddista della metempsicosi, al cui interno si inserisce però anche il secondo rimedio che oggi si offre alla solitudine, quello generato da quell’ansia di evasione che spesso porta ad incontri occasionali e ad altrettanto occasionali legami, generati dal profondo disagio dell’uomo moderno e dalla mancanza di una reale comunicazione con i suoi simili.
A questa delicata tematica non poteva certo corrispondere uno svolgimento lineare e piano della vicenda: il romanzo, molto stratificato nei suoi singoli episodi, va letto tenendo sempre ben presenti queste due direttive. Ed anche il nome della protagonista, Felitsa, diventa simbolo di questa dialettica tra esigenze materiali e spirituali, esigenze che nascondono da un lato l’ansia di felicità ineliminabile da ogni cuore umano, ma dall’altro un tema molto caro alla Cellucci, quello della lotta tra ideale e reale.
L’autrice ripercorre le vite passate di Felitsa con un’originale tecnica a flashbacks, prendendo le mosse da un evento luttuoso che genera una presa di coscienza della protagonista, inducendola a utilizzare la sua ultima esistenza per raggiungere, almeno in forma illusoria e momentanea, quella felicità che le precedenti vite le hanno negato. E l’occasione viene data da una cena tra insegnanti (ai quali l’autrice ha dato nomi cari alla sua esperienza di donna impegnata nel mondo della scuola), durante la quale si presentano giovani geishe e samurai, apparentemente giapponesi, che alla fine si sveleranno come una delle tante brigate di intrattenimento che rallegrano i locali di ristoro coinvolgendo anche i clienti.
Durante questa cena è come se i sogni di ciascuno potessero essere magicamente realizzati, complici le musiche orientali, la notte e l’alcol, ma è anche il momento in cui Felitsa può accedere ad un’illusoria felicità, manifestando la sua ansia d’amore e la sua profonda religiosità. È un magnifico sogno, un’occasione quasi unica, alla quale purtroppo seguirà il risveglio e la scoperta dell’amara realtà: svaniti le geishe e gli splendidi samurai, rimane solo lo squallore di una compagnia prezzolata, fatta di poveri giovani che hanno trovato comunque un modo, magari non molto ortodosso, per guadagnarsi da vivere. E anche Felitsa, sogno sublime, tensione ideale, svanisce; di lei rimane solo il ricordo nel cuore di chi per una notte l’ha amata, compensandola dei dolori delle sue precedenti esistenze e svelando al tempo stesso il mistero che si annida in un solitario casolare di campagna che si dice infestato dai fantasmi.