È grande in Silvana Cellucci il desiderio, se non addirittura la necessità, di “narrare” nel senso più autentico del termine. Raccontare per il puro gusto di raccontare: accostarsi con delicatezza a vicende che arrivano a impennarsi su picchi di umana drammaticità, senza mai abbandonare l’impulso primario del lasciar intravedere un particolare, un indizio che si rivelerà la chiave di lettura della realtà che l’autrice aveva in serbo — come un vero e proprio coup de théâtre — per il suo lettore.
In questo senso va sottolineato come fluidità narrativa e capacità di immediatezza ed essenzialità trovino nella penna di questa scrittrice teatina una felicissima combinazione. La Cellucci sembra aver sposato il genere del romanzo breve con piena e convinta consapevolezza. Una scelta non facile. Di solito chi ama narrare (e perdersi nei meandri della narrazione) stenta proprio a mantenere un certo equilibrio rispetto alla capacità di sintesi. Nella Cellucci questo non accade mai.
E non accade nemmeno in Se fosse una canzone, romanzo dal solido impianto narrativo, imperniato su un paio di personaggi scolpiti “a tutto tondo” dalla mano — e dalla fantasia — di chi li ha creati.
I ruoli sono standard: insegnante e alunno difficile, per una storia che di scontato non ha però nulla. Tanta voglia di dialogo fra i due, senza nulla di prevedibile: non è il consueto vecchio dialettico scontro fra generazioni a tenere in piedi la trama di Se fosse una canzone. Piuttosto, una disincantata disponibilità a conoscere verità nuove e diverse, che possono essere anche molto lontane da noi stessi ma non per questo aprioristicamente inaccettabili. Non è un caso che in trincea, nel ruolo di protagonista, in questa vicenda che strizza l’occhio al sociale e — in senso più generale — alla contemporaneità e quotidianità che investe tutti noi, la Cellucci abbia messo un’insegnante, figura appartenente a una categoria più di altre capace di ascoltare, comprendere e poi filtrare, perché dall’esperienza quotidiana si possa trarre il senso più assoluto e distaccato di un certo humus detto genericamente “cultura”.
Senza melenso buonismo (spesso gli “ismi” oggi coniati sono deleteri) e anzi conservando ognuno il proprio spiccato carattere, amabile o furioso, ironico o austero, ottimista o ipocondriaco che sia, i personaggi di primo e secondo piano s’incrociano e si rincontrano — lungo la fitta trama disseminata di difficoltà — con l’evidente desiderio di abbattere le barriere mentali e ogni sorta di diffidenza nei confronti degli altri.
Gli ostacoli esistono, nessuno lo nega, ma possono essere superati. È questo il messaggio che con i suoi romanzi e racconti (i quali infatti non sempre hanno un dichiarato “lieto fine” e lasciano che sia il lettore a trarne personali conclusioni) l’autrice continua a rinviarci. Il mondo è pieno di eroi di cartapesta, ed è invece nelle minime vicende quotidiane che traspare l’intento o la voglia di vivere fianco a fianco in armonia, allargando gli orizzonti.