Silvana Cellucci

La fidanzata dello Zar

Presentazione di Antonello Antonelli

Tabula fati, Chieti, Aprile 2007

 

Presentazione di Antonello Antonelli

     «Tranne il violoncello intorno a me c’era solo il vuoto, nient’altro che l’immensità del vuoto». Le parole della protagonista de La fidanzata dello Zar che concludono il romanzo riflettono quella che è la condizione esistenziale dei personaggi di Silvana Cellucci. La quale ancora una volta tocca con la sua penna lieve ma profondamente incisiva il tema dell’amore infelice, agognato eppure mai raggiunto, o magari realizzato ma mai conquistato appieno. Intorno a questi personaggi si stende il vuoto della realtà: solo la fantasia può riempirlo, per brevi tratti, con un tourbillon di situazioni destinate però a sciogliersi inesorabilmente al ritorno “con i piedi per terra”, che coincide sempre con la pazzia. È questa l’unica condizione possibile per coloro che rifiutano ostinatamente di vivere la concretezza di un presente troppo angusto, rifugiandosi nelle sicure plaghe del passato o nelle irreali profondità del futuro.
     Un romanzo atipico, dunque, anche per la sua brevità rispetto alla precedente produzione narrativa della scrittrice. Negli ultimi tempi e qui in particolare, Silvana Cellucci sembra aver imboccato la strada del racconto riuscendo però a conservare, del romanzo, la struttura articolata. E serrando in un centinaio di pagine una storia densa di accadimenti, passioni e colpi di scena senza tuttavia trasmettere al lettore la sensazione della “toccata e fuga”, ma anzi accelerando le dinamiche dell’intreccio quasi a sottolineare l’ansia del vivere dei vari personaggi. Con queste prerogative, la storia narrata in La fidanzata dello Zar è particolarmente significativa e si dipana attraverso una tematica nota della scrittura cellucciana: il parallelismo tra bene e male, rappresentato qui da due uomini che si contendono in maniera diversa e con atteggiamenti assolutamente contrapposti il cuore di Jana, fanciulla portata per indole a idealizzare le figure maschili che le si presentano innanzi e a vivere con impulsività le occasioni offerte dal caso, pur riflettendo con estrema serietà sulle conseguenze dei suoi atti.
     Ma cos’è il bene e cos’è il male? Non sono forse facce della stessa medaglia? Gli esseri umani, incerti e fragili, non sono “tutto bene” o “tutto male”; in essi alberga la contraddizione, che chiede solo di essere compresa e amata, non giudicata. Ma è proprio questo che Jana non riesce a fare benché i due uomini del romanzo, lo psichiatra Lino Lazi e il violinista Boris Likov, abbiano entrambi i loro lati oscuri ed entrambi la amino in maniera intensa ma antitetica. In questo amore contrapposto Jana si perde nelle sue fantasie, generate dalla passione per la musica che le scorre nel sangue (altra caratteristica, questa, che accomuna quasi tutte le protagoniste dei romanzi di Silvana Cellucci, appassionata lei stessa di musica sebbene non abbia mai avuto la possibilità di concretizzare, suonando, questo “diletto dell’anima”), e si rispecchia in Marfa, la sfortunata protagonista dell’opera La fidanzata dello Zar (che dà per l’appunto il titolo al melodramma) di Rimskij-Korsakov, la quale è innamorata del giovane Likov ma è destinata a diventare la moglie dello zar Ivan IV il Terribile; per questo Likov viene assassinato e dopo le nozze imperiali Marfa impazzisce di dolore. Quest’opera — la stessa che tentano di mettere in scena i componenti dell’orchestra di cui fanno parte Jana, il padre che ne è il direttore e Boris come primo violino — aleggia su tutto il romanzo anche se in un’etica “rovesciata”: la protagonista è attratta infatti più dalla figura tenebrosa dello zar Ivan IV (che nella mente di Jana si trasfigura in Lino) che dal dolce e tenero Likov (che è Boris, il quale non a caso ha lo stesso cognome del personaggio di Rimskij-Korsakov).
     Alla fine, ovviamente, la realtà vince, perché essa non può che riavvolgere completamente le vite degli uomini. Eppure, questa realtà è sempre insidiata dalla fantasia e si trasforma dunque, una volta ripresa la sua signoria, in un terribile vuoto. È questo il destino degli esseri umani? Il romanzo non lo svela, ma probabilmente una risposta a questo interrogativo non ci sarà mai.

Antonello Antonelli