Il lettore che abbia già avvicinato in precedenza l’opera letteraria di Silvana Cellucci non potrà esimersi dal notare come l’autrice offra, in questo suo ultimo lavoro, l’ennesima prova di un talento capace di esprimersi, al di là della scrittura in senso stretto, nella costruzione di situazioni continuamente in divenire, in una sorta di meccanismo psicologico-dinamico che muove e sollecita i protagonisti delle sue storie. A maggior ragione il neofita, colui che per la prima volta vorrà accostarsi alla narrativa della scrittrice teatina, vi troverà senza dubbio le ragioni di una lettura accattivante e senza pause.
Silvana Cellucci costruisce infatti in tal modo anche l’ultimo romanzo della sua copiosa produzione letteraria che, in un recente intervento, non ho esitato a definire “commedia delle maschere”. I personaggi messi in scena sembrano infatti camminare su una corda, continuamente in bilico tra essere e divenire, in attesa dello scardinamento di tutte le certezze acquisite durante il dipanarsi dell’intreccio che, puntualmente, si verifica nelle ultime pagine.
Non fa certamente eccezione Egmont di Lamoral in cui, ancora una volta, il protagonista è per l’autrice metafora della vita, descritta nei suoi contenuti più amari. In questo modo essa “sfrutta” il dolore mediante l’utilizzo di alcuni artifici funzionali alla costruzione di un mondo fatto di sofferenza e privazioni in cui i personaggi, a partire dallo stesso Egmont di Lamoral, districano le loro vicende umane.
Così ad esempio l’equivoco, lo scambio di persona, la malattia (tradotta qui in una sorta di folle oblio che attanaglia il personaggio principale), la stessa complessità e tortuosità della trama servono alla Cellucci per sprofondare i suoi attori nella disperazione.
“Siamo tutti fantocci, tutti fantasmi, nati per distruggere, per il gusto di ricostruire quel che presto dovrà di nuovo essere annientato”. Con queste parole, pronunciate nelle prime pagine di questa sua ultima fatica letteraria, l’autrice delinea i contorni focali del suo protagonista, Egmont di Lamoral.
Ambientate in una Chieti moderna che non esita, però, a mostrare tutto il suo fascino misterioso e barocco cadenzato dai ritmi lenti del Miserere durante la processione pasquale, le vicende sono scandite dal tentativo di Egmont di ritrovare il suo passato, perduto in una lucida follia che rievoca atmosfere tarchettiane.
I colpi di scena si susseguono ed Egmont indossa i panni della reincarnazione di un conte belga vissuto nel XVI secolo, di un soldato semplice inviato sul fronte iracheno, di un valente e coraggioso ufficiale medico oppure di un efferato omicida. Intorno a lui si anima un mondo borghese, costellato di personaggi eterei: taluni mossi a compassione dalla sua condizione di precarietà mentale e pronti ad aiutarlo “è il caso dei candidi Tammaro e Antonella o del fidato cardiologo Panfilo; altri attenti a contrastarne i tentativi di affermazione” su tutti il sospettoso commissario Farini. Fino ad arrivare alla bella e misteriosa Sabina, il cui ruolo si mostrerà fondamentale per la conclusione dell’intreccio.
Attraverso l’espediente della narrazione in prima persona, incarnata dalla voce dello stesso Egmont, Silvana Cellucci consente al lettore di divenire tutt’uno con la storia, condividendo speranze, paure e follia del protagonista, consapevole del fatto che non esista un’unica verità ma solo le mille sfaccettature di essa.