Scrittrice quantomai prolifica, Silvana Cellucci licenzia per la stampa il suo undicesimo romanzo, confermandosi all’attenzione del pubblico dei lettori per un’abilità stilistica non comune e per una serie di motivi ispiratori che la apparentano a tutta una tradizione consolidata della letteratura femminile italiana rappresentata da autrici quali Contessa Lara, Carolina Invernizio, Matilde Serao, Sveva Casati Modignani, Liala — solo per citare alcuni dei nomi più conosciuti e amati.
Ella si affida al romanzo d’intreccio, modulo già felicemente sperimentato e collaudato nelle precedenti opere, per costruire una storia d’amore che si sviluppa secondo un andamento tortuoso, contraddistinto da situazioni imprevedibili, da colpi di scena a ripetizione, da casi ed eventi che si susseguono con una tale velocità da non lasciare spazio e riposo ai personaggi, che appaiono per lo più impulsivi, irrequieti, incapaci di governare il proprio corso esistenziale, protagonisti di azioni che vengono compiute senza un adeguato discernimento. Affidati all’emotività più che alla ragione, non riescono a meditare su quanto accade e di trarne il dovuto insegnamento.
Posti di fronte a un bizzarro destino, gli “eroi” di Un concorso da non fare palesano un’intima fragilità, una connaturata, essenziale estraneità alle regole sociali, una perniciosa inabilità nel sostenere il peso del pathos che li attraversa.
Vero protagonista, il Fato si diverte a scombinare le regole fissate dagli uomini, per impadronirsi delle loro vite fino a renderle ininterpretabili, offuscate, avvolte da ombre e mistero. Nonostante tutto, i personaggi principali non soccombono mai, legati da una forza che si mostra più tenace d’ogni sventura. L’amore che sboccia improvvisamente tra Simona e Andrea si sviluppa tra paesaggi e scenari da favola, in luoghi incantevoli dove compiono indimenticabili viaggi romantici. Senonché, ben presto essi incontrano difficoltà generate non solo dalle differenze di età, di carattere e origine esistenti tra i due — lei è una giovane ragazza scandinava, tanto bella quanto volubile e capricciosa, lui è un maturo quarantenne, affermato e severo professionista italiano — ma anche dalle invidie e dai rancori di parenti e conoscenti che sembrano quasi coalizzarsi pur di distruggere quella sfolgorante imbarazzante felicità.
Da non sottovalutare è il diverso portato di esperienze e di maturità che Andrea e Simona posseggono, differenza che influisce sulla loro unione e contribuisce alla cancellazione di ogni possibile via di mezzo, e alla creazione di condizioni estreme nell’ambito di una relazione che diviene per entrambi unica ragione di vita, fonte di assoluta gioia o di completa disperazione, di volontà di annientamento.
Così come è accaduto per i precedenti romanzi, anche in Un concorso da non fare, Silvana Cellucci segretamente diffonde gli ammonimenti di un messaggio etico che sferza i personaggi. Nessuno si può dichiarare innocente, tutti sono colpevoli, responsabili di falsità, cattiverie, atrocità, inganni commessi a volte senza cognizione di causa. Da condannare è pure il sistema sociale, dominato dalla corruzione di ogni forma di potere, fondato sullo sfruttamento, sul classismo, su principi dettati da un’economia senza nessuna base di etica. Ad assolvere l’uomo è l’amore, unico tesoro di cui si dovrebbe fare buon uso, con generosa disponibilità, con infinito altruismo. Il comportamento di Andrea sovente è scorretto, dettato da istinti egoistici e dal disinteresse nei confronti degli altri, dalla mancanza di rispetto verso se stesso; Simona si presenta come una tipica ragazza dei nostri giorni, superficiale, incostante, viziata, insicura, inadatta a prendere decisioni importanti, a instaurare rapporti profondi. La sua esuberante bellezza non coincide con una corrispondente ricchezza interiore: ella privilegia un estenuato mito dell’apparenza. Essere, non apparire: è questo un altro dei principi morali che la scrittrice lascia rimbalzare all’interno delle pagine, con la speranza di colpire le lettrici più giovani, e non solo quelle.
Il romanzo, che si legge tutto d’un fiato per l’intreccio, per la storia d’amore, ma anche per una scrittura nervosa, agile ed essenziale, e per una sorta di scossa elettrica che percorre tutto il libro, non è semplicemente una godibile, torbida, romantica storia d’amore: basta oscillare con la prospettiva per scoprire la complessità dell’opera. Se infatti si privilegia la lenta, quasi impercettibile crescita di Simona, che scopre e conosce, grazie ad Andrea, le strade dell’amore, il romanzo si potrebbe definire d’educazione sentimentale, o di formazione, se invece si pone l’accento sull’attenzione con cui l’Autrice descrive il mondo alto-borghese che spocchiosamente nasconde dietro una splendida cortina i propri vizi e le proprie efferatezze, il romanzo potrebbe intendersi d’ispirazione realistico-sociale, se invece si sottolinea l’analisi che viene condotta sul comportamento dei personaggi, potremmo parlare di romanzo psicologico, o psicologico-borghese. Un concorso da non fare è un’opera che presenta mille sfaccettature, e che risulta molto composita e variegata, romanzo scintillante, denso, percorso dal fuoco dell’amore.