Silvana Cellucci

La canzone di Solweig

Presentazione di Giovanni Pasqualino

Tabula fati, Chieti 1999

 

Presentazione di Giovanni Pasqualino

     Le cronache dei giornali ci hanno ormai abituato a considerare come una realtà i tanti casi di violenza sui bambini che sempre più spesso vengono scoperti nei ceti più bassi e diseredati della nostra società. Quel che però rimane quasi sempre un mistero è ciò che avviene nella mente di queste piccole vittime innocenti, e i guasti che simili ricordi, certo indelebili, arrecano alla loro personalità ancora in formazione, talvolta pregiudicandone irrevocabilmente lo sviluppo futuro.
     Silvana Cellucci, giunta con questo romanzo alla sua seconda prova narrativa, si è dedicata ad indagare, con la finezza e la discrezione che la distinguono, gli effetti di una simile brutalità su una giovane mente, evidenziando tutti i disagi, le vergogne e i sensi di colpa che possono deturpare l’esistenza di una ragazza che, vittima di uno stupro ad opera del padre, viene poi allontanata dai genitori e affidata alla carità altrui.
     Col suo stile fluido e avvincente, nutrito da una lunga frequentazione con la narrativa d’intreccio, dalla quale ha tratto il gusto per i colpi di scena e i continui rivolgimenti d’azione che tengono sempre desta l’attenzione del lettore, Silvana Cellucci snoda un’intricatissima vicenda la cui protagonista, una giovane e bellissima somala, giunta in Italia al seguito di una famiglia poverissima e già tarata, focalizza su di sé tutte le più nefaste conseguenze di un’infanzia miserabile e traumatica, dalla quale solo una fortuita serie di incidenti e combinazioni provvidenziali riuscirà a trarla fuori per guidarla verso un porto sicuro, dove la sua personalità ferita avrà finalmente modo di evolversi in senso positivo.
     Divisa tra una profonda e tenace gratitudine per il suo insegnante di violino, l’uomo che ha sostituito in tutti i sensi nel suo inconscio la figura paterna, e l’irresistibile attrazione fisica, alla quale sulle prime tenterà in ogni modo di sottrarsi, per un avvenente professore universitario, vittima a sua volta di una paternale violenza psichica non meno dannosa di quella fisica, la giovane Nunzia cerca a tentoni la sua strada nella vita, avvertendo oscuramente dentro di sé che né l’uno né l’altro dei due uomini che le stanno accanto, sommergendola e a tratti annichilendola col loro affetto, per certi versi patologico e deviato quanto il suo, sono in grado di farla crescere e maturare, tramutando in una donna sicura, autonoma e responsabile una ragazzina oppressa da un terribile passato di vergogne e di violenze.
     In una Milano tentacolare e nebbiosa, simbolo forse della società moderna che tutto travolge nel suo ritmo vorticoso e disumano, Nunzia sembra sulle prime aver trovato la sua reale dimensione nella musica, in un’esistenza fatta di studio e di dedizione all’arte che, se è riuscita ad elevarla psichicamente e socialmente, attutendo un po’ la sua doppia diversità di orfana di fatto e di extracomunitaria, si rivela però, dinanzi all’irrompere rutilante della passione amorosa, solo una campana di vetro incapace di proteggerla efficacemente da se stessa e dalle insidie del mondo.
     Sempre più disorientata, vittima delle sue debolezze e del suo passato, incapace di rendersi conto dei suoi sentimenti e di tenere a freno la sua sensualità tutta levantina, nella quale avverte ad ogni istante la funesta eredità materna, la protagonista tenterà mille volte di sottrarsi al destino che incombe su di lei e al desiderio maschile, rischiando continuamente sulla propria pelle e accumulando incomprensioni e condanne morali, dalle quali forse nemmeno il lettore riuscirà ad esimersi del tutto. Anche la sua precoce maternità, avvelenata da vicende nelle quali non ha nessuna colpa, non riuscirà se non troppo tardi ad incidere profondamente sulla sua personalità, a porre un freno al disorientamento dei sensi nel quale sembra sprofondare, incapace di individuare il netto confine che separa la gratitudine e l’affetto dalla passione amorosa.
     Imparziale e obiettiva, lucida e talvolta impietosa nella conduzione di questa delicatissima vicenda, che la minima compartecipazione narrativa avrebbe potuto far irrimediabilmente scadere nel patetico e nel dolciastro, Silvana Cellucci snoda con mano ferma e sicura la trama sino ad un fulmineo finale dove, in una catartica purificazione acquisita tramite la sofferenza fisica e psichica, la giovane protagonista riconquisterà se stessa e la sua dimensione più autenticamente femminile grazie ad un rapporto finalmente paritetico con l’altro sesso, l’unico in grado di rispettare e salvaguardare la sua complessa e talvolta tortuosa personalità.

Giovanni Pasqualino