Definire Petali d’Inverno un poema in prosa può apparire riduttivo per un’opera che aspira alla espressività totale della parola non curandosi di carcerarla né in strutture specificatamente narrative né in strutture vagamente poetiche o aforistiche.
Ma il termine poema in prosa fissa in realtà il modo d’essere della scrittura di Igor Brunello, modo d’essere che lascia libero il linguaggio di impennarsi in liriche ed estatiche visioni o di acquietarsi in piane e lievi descrizioni, in una alternanza misurata e armonica che avvolge e coinvolge il lettore.
L’autore avverte il mito come irrinunciabile valenza metafisica della vita dell’uomo e mezzo per penetrare e capire il significato recondito dell’esistenza, del bene, del male, del rendiconto, del disinteresse, del senso della vita e di quello della morte.
Per tali motivi i suoi personaggi sono mitici, non solo perché portano nomi palesemente mitici ma perché l’esperienza e gli ideali cui aspirano e che vogliono realizzare hanno tutta la consistenza e pregnanza di cose fuori dal comune, di cose nobili ed eroiche, spinte fino ai limiti più elevati dell’umano.
Petali d’Inverno si avvale di una scrittura, di personaggi e descrizioni che trovano nella musicalità il loro aggettivo più appropriato. La calma e calda eufonia che riesce a creare Brunello trova riscontro pieno nell’intento precipuo che esige Paul Verlaine dall’arte: “De la musique avant tout chose” (La musica prima di ogni cosa) e “De la musique encore e toujours” (La musica ancora e sempre).
In Petali d’Inverno la parola si estrinseca come musica, come puro suono; essa diventa l’anima della creazione artistica e la scrittura diventa vera e propria musicalità danzante in quanto tende semanticamente più a veicolare sensazioni, suoni, odori, colori e caleidoscopiche fantasmagorie che a descrivere fatti e personaggi definiti.
Per Brunello la scrittura può cogliere e descrivere l’esistenza tramite illuminazione o mistico abbandono ma non può fermarla o carcerarla in fisse e statiche descrizioni di luoghi e ambienti; per l’artista veneto insomma, come per il filosofo Eraclito, nell’Universo tutto scorre e si trasforma senza sosta.
L’Uomo può solo cogliere e percepire questi grandi mutamenti dentro la sua anima e all’interno del suo mondo ma non potrà mai ghermire e afferrare il senso del perpetuarsi della vita, il senso del dolce afflato d’amore, il senso del fluire implacabile e ineluttabile del tempo.
Esempio eclatante del modulo narrativo di Brunello, da un lato ieratico ma dall’altro estremamente semplice e conciso, è la descrizione di un vecchio pianista che osserva Ariel da una finestra, quasi per vedere una sorda consolazione alla sua solitudine, consolazione alla quale nemmeno la musica riesce più a dare sollievo: «Si sedette al pianoforte. Muto il pianoforte. Si sedette al piano ma non pensò. Ché il pensiero di Ariel non riempiva la solitudine.»
Il lettore più scaltro e agguerrito troverà in queste pagine uno spessore umano ed emotivo che certo non riuscirà a lasciarlo del tutto indifferente.