Marcello Bonati

Cercando i colori per l'uomo

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti 1998

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     Popolati da fantasmatiche figure di donne dalla prorompente, quasi ferina sensualità, metafora forse del piacere sessuale come forma estrema ed estenuata di una reale comunicazione umana sempre negata, nonostante le apparenze, all’interno dell’esistenza quotidiana, i racconti di Marcello Bonati guidano il lettore lungo paesaggi onirici inquietanti, dove allusive figure d’incubo sempre presenti ma non palesi paiono alludere quasi ad un’estrema possibilità di vivere autenticamente la propria avventura umana.
     La silenziosa solitudine della notte, dove anche il gelo sembra voler creare un muro trasparente ma invalicabile tra il mondo e il protagonista, simbolo dell’isolamento dell’uomo in un mondo heideggerianamente inautentico, dove anche gli oggetti, oltre che gli altri esseri umani, sembrano incombere con la loro ostile e tacita estraneità, si popola ora di larve femminili dotate di un’insaziabile lussuria, come in Una notte piena di pioggia, ora di mostruosi revenant, zombi sanguinari o dèmoni dell’inconscio, come ne Il fiammifero, dove l’oscura ed enigmatica vicenda di una famiglia come tante altre, isolata e isolante, i membri della quale sono tutti chiusi nell’impenetrabile guscio dell’incomunicabilità dei loro pensieri più reconditi, prosegue in un crescendo di drammatica tensione sino alla cesura della disgrazia improvvisa che sembra preludere, ma illusoriamente, all’unica possibilità di vivere autenticamente la vita, o meglio, per dirla con Martin Heidegger, il proprio “essere per la morte”, che in Bonati si realizza invece come un incubo dai contorni ambigui, grottesco e terrificante.
     La lucida prosa dello scrittore milanese, che ha già al suo attivo alcune pubblicazioni su riviste amatoriali e fanzines di un certo prestigio, si piega con grande naturalezza alle esigenze di questa narrazione allucinata, incalzante, incombente, sempre giocata tra l’onirico e il reale, utilizzando una tecnica scaltrita dove gli stilemi e i moduli delle più avanzate avanguardie scardinano quasi la sintassi tradizionale, dando vita ad un’originalissima prosa dove tempo e spazio paiono seguire le tortuose peregrinazioni, mentali e fisiche, dei personaggi.
     Perversa musa ispiratrice di Marcello Bonati, la donna, dotata di una libidine apocalittica e di un’avvenenza sottilmente demoniaca, percorre con la sua ambivalente presenza tutti i racconti della raccolta, ora guidando il protagonista-vittima attraverso una trasmutazione di sesso che ricorda quella dell’Orlando di Virginia Woolf, ora svelandosi come la dea primordiale di un perverso paradiso del silenzio, come in Cercando i colori per l’uomo, ora ergendosi a “maglia rotta nella rete che ci stringe”, occasione montaliana che aiuta l’uomo a continuare a vivere, a riprendere quasi un ciclo interrotto, come nel più realistico e tradizionale dei racconti, Tomà, storia annunciata di un effimero amplesso tra un giovane zingaro e una ragazzina.
     E non è un caso che solo in questo racconto l’incontro amoroso si realizzi pienamente, in una muta fisicità assolutamente appagante per entrambi i protagonisti, e che si realizzi proprio tra un diverso quale è lo zingaro, e una ragazzina la cui devianza dal mondo considerato normale dai più consiste nell’aver accettato una volta per tutte di essere solo e soltanto una preda erotica per i suoi coetanei. Non più veicolato dal linguaggio convenzionale, dalla chiacchiera inautentica, ma solo dal linguaggio originario e primordiale dei sensi, l’amplesso amoroso si realizza finalmente nella sua annunciata unicità al di là di ogni ipocrisia borghese, travolgendo nella sua ferina e cieca istintualità anche la sacralità dell’altare di una chiesa.

Giuliana Cutore