Alessio Blasetti

Nessuna fermata intermedia

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti, Settembre 2005

 

Presentazione di Giuliana Cutore

     La metafora della vita come viaggio ha tentato sin dall’alba della letteratura romanzieri e poeti: l’esistenza umana è un lungo itinerario dalla meta sostanzialmente ignota, ma che può costituire un arricchimento, una catarsi, o anche un mostruoso equivoco.
     Dai tempi di Dante Alighieri l’uomo si è abituato a riconoscere, durante il corso della sua vita, momenti e periodi di caduta, fisica o morale, che possono essere corretti solo ripristinando un superiore equilibrio, riacquistato grazie a più o meno complessi itinerari miranti a riannodare le fila del cosmos che la nostra caduta ha momentaneamente spezzato. È questo, a ben vedere, il nucleo essenziale di tutte le opere artistiche che hanno quale argomento il viaggio iniziatico, metafora quanto mai pregnante e ricca di significati simbolici ma, quel che più conta, sempre attualissima e feconda.
     A questa antica e sempreverde suggestione letteraria non è sfuggito Alessio Blasetti, giovane ma promettente autore siciliano del quale questo romanzo, dal taglio audace e sperimentale, costituisce un’ottima prova d’esordio. In modo quanto mai originale Blasetti opera qui una insolita commistione tra il classico tema della vita come viaggio e quello, più moderno e insolito, almeno fuori dalla letteratura fantascientifica, della possibilità di mutare la propria vita attuale ritornando indietro nel tempo.
     In sostanza, è come se l’esistenza di ciascuno di noi fosse disseminata di scambi, nel senso ferroviario del termine: noi arriviamo sempre a questi scambi senza accorgercene, e dalla direzione che prendiamo dipende il prossimo intervallo di vita e la possibilità di raggiungere un altro scambio e poi un altro e così via.
     È chiaro dunque che, ritornando indietro ad alcuni di questi punti focali della nostra esistenza, e mutando direzione, potremmo anche modificare, in peggio o in meglio, il nostro itinerario fisico e mentale.
     Nessuna fermata intermedia utilizza appunto questa tematica, arricchendola di potenti e ricercate suggestioni che a tratti sembrano avvolgere il lettore in quelli che Umberto Eco ha felicemente definito “gli echi dell’intertestualità”: ed ecco avanzare sulla scena l’alter ego bambino del protagonista, vero e proprio Doppelgänger tanto caro alla letteratura mitteleuropea, oppure il Sapiente che tanto ricorda il paziente e razionale Virgilio dantesco, e le tante figure di donna, diafane ed evanescenti o carnali e sensuali, rimando alla classica dialettica Amor Sacro - Amor Profano.
     Il kafkiano treno su cui viaggia il protagonista, sempre più consapevole di sé e del significato recondito del suo viaggio man mano che incontra i suoi doppi, sostituisce nel corso dell’azione i suoi scompartimenti con spaccati esistenziali, che paiono sconvolgere e rielaborare i piani narrativi in un caleidoscopico gioco di specchi, volta a volta deformanti o realistici.
     Il ritmo veloce e incalzante del romanzo sembra quasi spronare il lettore a ghermire il ritmo del treno, ad ascoltare i suoi sobbalzi, a riconoscere le stazioni. E questi sobbalzi si avvertono remoti anche nelle parti in cui la realtà pare prendere il sopravvento sull’aspetto onirico, quando la prosa si fa secca e tagliente, lacerata da squarci dialogici crudi e netti, quando la persona narrante si muta improvvisamente, accrescendo il senso di disorientamento del protagonista e del lettore, che in esso già si è identificato, dinanzi ad un cosmos slegato nel quale tutte le scelte sembrano ormai equivalersi e dove ogni “fermata intermedia” scompare.
     Svanita anche l’ultima possibilità di rimettere tutto a posto, e sta qui l’aspetto più inquietante e al tempo stesso originale del romanzo, al protagonista, novello Dante che tutto ha esplorato, ma senza la possibilità di un riferimento ultraterreno che renda possibile ogni altro terrestre riferimento, non rimane che rifugiarsi nel gioco, nella finzione, accettando in definitiva l’illusorio tessuto di una realtà dove, e a questo la nostra sensibilità del Duemila dovrebbe averci abituato, tutto può essere mutato e sovvertito, e dove le fermate intermedie, purtroppo, non sembrano davvero più esistere.

Giuliana Cutore