Alberta Bigagli
Presentazione di Anna VenturaTabula fati, Chieti 1999
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Figli, questo è il pane!
Condito con il sangue del pomodoro
con la luce dell’olio
con la rugiada del sale.
Dopo la sosta andate
e che sia sempre più lontano.
Tendete le mie carni e laceratele.
Vorrei vi fosse rivelato il mondo.
Qui c’è già il tono, diretto e forte, inequivocabilmente poetico, che connota, più avanti, i bellissimi Salmi laici.
Questo breve componimento iniziale racchiude in sé molti aspetti della poetica di Alberta Bigagli: la parola lieve ma perentoria, l’ironia, il gusto per la metafora coraggiosa, la sentenziosità arguta, quella “gestualità compostamente mancina” di cui parlò, con espressione insostituibile, Mario Lunetta, nella prefazione a Tre voci e una mano (Edizioni del Leone, Venezia, 1990).
Queste chiavi di lettura bastano ad un primo approccio col libro; ma a mano a mano che ci si addentra nel discorso poetico, si fanno nuove scoperte, sulle quali bisogna soffermarsi.
Una di queste pause godibili si incontra subito, nella poesia L’uomo dei sogni: qui si rivela un altro aspetto della poetica di Alberta Bigagli: l’elemento onirico/surreale, che connota tante sue pagine. Sembra un disegno di Folon, questo “laghetto chiaro fra due monti rotondi” , sopra al quale “passava un aquilone azzurro”.
E anche in altre immagini (paesaggi, animali, figure umane, cieli) di questo libro mi sembra di riconoscere il clima tenero e ironico, la linea nitida e soave del grande poeta del segno.
Ancora una pausa merita l’attenzione ad un tenue filo autobiografico che connota alcune pagine: un discorso troppo geloso per essere completamente rivelato, eppure spesso presente, in filigrana. Talvolta, all’improvviso, si fa manifesto: come in questa dichiarazione di stile di vita e di poetica:
Io rido e so di ferire
di aprire la zolla.
Rido per seminare.
Sarò felice domani.
Come in questa intensa rievocazione del passato che conta:
Subito volli un tavolo e un letto
di legno forte chiaro a coppale
che profumasse ancora.
E la sedia la prima avesse la paglia.
Vennero l’alluminio e i cotoni.
Vennero i libri ed erano poesia.
Attraverso gli ariosi Triangoli, passiamo ai Salmi laici. Qui l’ispirazione poetica non viene più sollecitata da un dato preciso (offerto dalla realtà, dal sogno, o dal ricordo), ma da un moto del pensiero, spesso lungamente, dolorosamente meditato.
Il tono è alto, sapienzale, anche se l’ironia e la grazia di un lessico colloquiale fugano il rischio di qualunque seriosità. I cinque pronunciamenti, attraverso i quali il discorso poetico si articola hanno dei temi portanti: Povertà e Regno (il primo); Incontro e Solitudine (il secondo); Ironia e Convenzione (il terzo); Nostalgia e Avventura (il quarto); Pazzia e Ragione (il quinto).
Ogni pronunciamento consta di tredici terzine, in cui ogni argomento è dibattuto, ogni verità è asserita con tono lieve e arguto, e tuttavia pensoso:
Avvengono i baratti della carne fra nubi di odori
avvengono le gare. di sapere simpatia e bellezza
ma vorremmo soltanto condivisa la fatica a vivere.
(Incontro e Solitudine)
Ed ecco che, alla fine, approdiamo a un punto in cui ci rendiamo conto che “siamo ancora chi fummo ma abbiamo le ali”.
Ali che sentiamo veramente di avere, dopo aver percorso per intero questo “paesaggio mobile” in cui si travalicano le tristi leggi della concretezza e si scelgono quelle, dilatate e ariose, della fantasia poetica.
Anna Ventura