Dal silenzio interiore alla ricerca della luce o, se preferiamo, dal vuoto alla scoperta e riscoperta del mistero che dà gioia, serenità, tranquillità.
Questa potrebbe e dovrebbe essere la chiave di lettura della raccolta di poesie Lieve il vento che Francesco Baldassi, con meditata e accorta riflessione, ha costruito sul filo di una forte tensione emotiva e di una altrettanto significativa visione esistenziale.
Il percorso seguito va dalla conoscenza di sé stesso allo sforzo per liberarsi dai ceppi del dubbio, dalla memoria archiviata alle pagine nuove della sua rinnovata accoglienza di Dio. È un percorso assai ben costruito ed elaborato in chiave propositiva, tale cioè da costringere anche il lettore a mettersi alla prova, a leggersi dentro, a guardarsi attorno, ad interrogarsi sui perché dell’oggi che non fanno altro che annebbiare la vista allontanando quella verità primaria e iniziale che da sola riesce a far gustare meglio, e di più, la nostra breve sosta terrena.
Francesco Baldassi ci ha abituati alle incursioni filosofiche dentro la Verità. In questo caso il suo navigare è quanto mai ricco di immersioni e di accensioni, di accelerazioni e di subitanee pause. I versi — dalla musicalità palpabile, dal timbro colto, dalla perfetta commistione di stile e di contenuti — risultano pregni dell’ispirazione comunicante e della vis espressiva ormai consolidata, stimolante, irrinunciabile.
Non cede alle lusinghe delle voci incantatrici, Francesco Baldassi: punta diritto al centro di quello spazio che lui sa ben contenere per offrire una innegabile frazione di speranza reale; non effimera, non aleatoria, non calpestata da chi si illude di avere tra le mani la bacchetta magica e invece non possiede altro che il nulla.
«È il Signore del canto / a condurre la mia voce leggera,» scrive ad un certo punto; quindi aggiunge, raccogliendosi quasi in preghiera, che «dentro la sorte umana / è disceso il Signore della Luce» e «per questo la vastità del cuore / si placa nell’attesa / dell’ultimo plenilunio.»
Attese, percezioni, turbamenti, frantumazioni, ombre sono una parte fondante del suo dire profondo. Cosicché il poeta, con estrema puntualità, ricompone il mosaico del suo essere uomo e credente fino a raggiungere, nel fluttuare del tempo e dei rumori, quel silenzio ciarliero in cui naufragare in preghiera. Ed ecco che, ritrovata la quiete, chiama Dio con le espressioni più dolci e naviga oltre «la fragile precarietà del cuore umano.»
La raccolta di poesie è suddivisa in cinque parti o, forse sarebbe meglio dire, in cinque stazioni di sosta. Sì, perché ad ogni “sosta” corrisponde un passaggio e un fluttuare diverso, sempre comunque ombelicalmente in connessione con il precedente e il seguente; e questo a dimostrare l’ispirata e compita puntualità con cui Francesco Baldassi si apre al dialogo, alla riflessione, con un registro aperto e quasi liberatorio.
Una poesia alta dunque, la sua; una poesia di non facile ascolto e che necessita, anzi merita, una rivisitazione proprio perché il gioco dei ricorsi, dei rimandi e delle attese è decisamente segnato dal sentimento di fede che rinnova il senso stesso della vita e l’imperativo di difendere il bene dal male.