Anna Vincitorio

Filastrocche per l'angelo

Presentazione di Anna Ventura

Tabula fati, Chieti 2001

 

Presentazione di Anna Ventura

     La molteplice attività di Anna Vincitorio, da anni impegnata nel campo della poesia, della narrativa, della critica letteraria e della traduzione, approda, ora, ad un’esperienza nuova e originale: un libro di filastrocche, idealmente rivolto ad una interlocutrice bambina. Il che non deve tuttavia trarre nel facile inganno che si tratti di un libro per l’infanzia, anche se non mancano, certamente, elementi che potrebbero anche colpire una mente bambina: il ritmo della filastrocca, nella prima parte della raccolta, o il tono favolistico della seconda parte, dove la poetessa disegna, in punta di penna, piccole storie intessute di fantasia, che hanno tuttavia un preciso spessore artistico e morale.
     Non si tratta, insomma, di un libro tenue: tutt’altro; vi convergono, infatti, tutte le connotazioni proprie della Vincitorio, intellettuale e poetessa: la presenza dei poeti tradotti da altre lingue; la propensione a un lessico colto, allusivo; la profonda malinconia sullo sfondo, esorcizzata dal tono ironico o didascalico.
     Viene fatto di pensare, talvolta, a quei poeti toscani del Duecento (Cecco Angiolieri in testa), che seppero così abilmente mescolare il riso al pianto, l’allegria alla malinconia; e si servirono, per farlo, di un linguaggio fresco ed efficace, brillante e nuovo. E nuova era davvero, la loro lingua, giacché nasceva con loro. A tanti secoli di distanza, Anna Vincitorio, usando la stessa lingua, che il tempo ha modificata, sembra volerne recuperare l’antica freschezza, la genuina pregnanza.
     “Poesia di ricerca e di spasimo”, dice, bene, Gaetano Chiappini, nella prefazione all’Agguato sommerso (1997): “di ricerca”, perché sempre tesa a rinnovarsi, a raggiungere altri approdi, “di spasimo”, perché inquieta nel profondo, intrisa di stupore; l’infanzia è l’età che meglio conosce queste connotazioni: il desiderio di conoscere e, a contrasto, la paura dell’ignoto che potrebbe svelarsi.
     L’ironia accompagna bene questo crogiuolo di sensazioni vive: talvolta è un garbato minimalismo (i ceci che bollono nella pentola, il bucato steso al sole), talaltra è un improvviso pullulare di immagini strane, di sottili scelte lessicali: una specie di nonsense, che tuttavia ha un significato preciso. Tutto è favoloso, sospeso in un limbo ora sereno e lieto, ora cupo e minaccioso, stregato sempre.
     Si delineano nuvole e aquiloni, uova e pulcini, giostre e balocchi; ma c’è una voce fuori campo che ci avverte: quel mondo nitido, colorato, è insidiato dal dolore.
     Ma qual è, allora, l’anello che tiene, la zattera che resiste al naufragio, l’antidoto al dolore?
     La parola, forse; se vogliamo credere a quanto la stessa poetessa ci dice, ad apertura di libro:

Le parole segni lanciati dai giocolieri
dopo migliaia di anni
nel vuoto delle notti
gemmano in nuove stelle

Si disfano le trame dell’ordine stabilito
le sementi dell’incompiuto fioriscono.

     Resta, quindi, una traccia, nel buio e nel vuoto che ci sgomentano; c’è una possibilità di compiutezza, oltre gli schemi del vivere comune.

Anna Ventura