Presentare un poeta: è forse sgualcire un fiore, frantumare le ali di una farfalla, interrompere l’estremo canto di una cicala. Se già egli vive un equilibrio instabile tra la propria interiorità e la realtà esterna, tra l’ineluttabilità del suo sentire e la necessità del comunicare, tra l’originalità del suo io e la conformità dei suoi lettori, ebbene un intervento prosaico capace di offrire una mappa dettagliata o una ben precisa segnaletica atta ad introdurre qualsiasi lettore, anche il più indifferente, al suo mondo di lancinanti intuizioni significa dissipare ciò che ancora di sacro è giunto dall’aurora dei tempi fino a noi; significa squarciare la penombra evocativa dell’antro sacro alle Muse in cui la nostra poetessa usa ritirarsi; significa gettare la luce di una fotoelettrica alla ricerca di significati univoci e riduttivi dove deve regnare una pudica ombra e aleggiare l’allusione, magari gravida di ambiguità.
Perché di fatto Moira Di Fabrizio non ci comunica tumultuanti passioni, quanto invece la memoria sedimentata di queste: la loro vaghezza, se rivissute; il loro caricarsi di altro, se motivo di paragone; il loro pregiudicare pesantemente il presente, se riagganciate al quotidiano.
La memoria è quanto di più labile e di più immediato possediamo per riassumere il nostro passato, condizionata com’è dal nostro stato d’animo di allora e da quello che ci pervade nel momento in cui rammentiamo; perché una ragione del fatto che i ricordi all’improvviso affiorano in noi con lucidità visionaria, prendendo addirittura possesso di noi, esiste, anche se non ne abbiamo consapevolezza e non riusciamo assolutamente a controllare il flusso delle immagini evocate. E queste ci pervadono, e potrebbero trasformare in male anche il bene a noi presente: non così per Moira, sempre che mi conceda l’uso di questo “tu” affettuoso.
D’altronde nel leggerla sembra quasi di entrare nel suo intimo, rovistare tra i suoi ricordi: questi, è chiaro, debbono restare personali, eppure Moira sente la necessità di condividere con noi l’emozione che questi frammenti della propria vita son riusciti a farle scaturire. Ebbene separazioni, attese di ritorni, il rimpianto di qualcuno che non c’è più, squilli di telefono, strade che allontanano, violenze subite in quanto più debole, sogni agitati in stanze abbandonate, l’indifferenza attorno alla donna, il coinvolgimento in un atto di terrorismo urbano quotidiano… tutto ciò si trasforma nella memoria pacata di Moira in qualcosa di non più drammatico, fino a vedere smarrita ogni valenza negativa.
I fatti nel canto della sua memoria smarriscono la capacità di farci ancora soffrire, il veleno del rancore che essi conservano per ammorbarci ulteriormente la vita. Parafrasando i versi di Moira, per il solo fatto di essere sopravvissuti è possibile prendere consapevolezza che la nostra struttura, così sagacemente intrisa di sogni e di senso della realtà, ci vuole nati per galleggiare: in questo nostro mondo continuiamo a navigare sereni, attrezzati anche di fronte a onde anomale.
Già il leggere quanto un poeta confida, spesso si risolve in uno spiare gli spasmi del suo animo, come quelli di un essere paradossale e totalmente estraneo: la noia del lettore ne sancisce il distacco, e non vi è disponibilità a condividerne gli slanci o gli umori, l’alternarsi dei suoi propositi, le rapide fughe in avanti per amore. Si chiede, allora, al critico o all’artigiano che viene modellando introduzioni e presentazioni ad hoc, di evocare o di indurre quelle motivazioni che non si è in grado di cogliere o di comprendere.
Mi dispiace, purtroppo la poesia non gode di un servizio cathering: non è mia intenzione di spiegarvi nulla di quegli avvenimenti che, come frammenti di universo, gravitano attorno all’anima di Moira; né io voglio che lei mi dica nulla riguardo ad alcuni fatti precisi, ad alcune date che pur mi allertano e mi incuriosiscono.
Il secretum deve rimanere tale e noi dobbiamo limitarci a godere di ciò che è stato per noi secreto da tali avvenimenti: il vissuto rimane esclusivo di Moira ed è bene per noi che, con estrema grazia, ella ci abbia distillato questo succo emozionale da situazioni del tutto accidentali, per il resto dell’umanità, e che, invece, solo nel suo animo armonico hanno goduto di tanta eco.
A me, e penso anche a voi, non rimane che ringraziare le Muse che hanno indotto la loro seguace a produrre una simile rugiada poetica che ora si deposita anche sui nostri animi come un indebito dono gratificante.