Parole in poesia, impulsi che spingono il pensiero a lasciarsi raccontare dalle sensazioni. La vertigine del sentire si lascia revitalizzare e invadere da un flusso che travolge, sia pure nello spazio di un verso, di una strofa, di una rima. Poesie diverse, sguardi incrociati sul macrocosmo dei grandi problemi e sul microcosmo delle passioni personali. A tratti, nelle poesie di Contini, s’intravede e si staglia lo spiraglio di un pensiero — il pensiero — quasi fosse in agguato nel vortice di un’euforia tentata ma effimera: quella del vivere intensamente il proprio passaggio nel tunnel veloce del tempo, pur così lungo da trascorrere.
Sensazione di una densità che si sfalda sulla superficie delle parole, per riprendere immediato il ritmo incalzante al di là di ogni barriera e soprattutto oltre i confini della banalità quotidiana. Si presta orecchio ai retroscena di incontri, riusciti o mancati poco importa; si ascoltano i segreti di sé e dell’altro, ammantati di pudore linguistico ma svelati dalla vertigine del sentire. Una maniera di esistere. Lasciando che il desiderio cerchi strade espressive, seppur inesplorate o incerte. Esponendo se stessi alla sensazione insostenibile dell’essere, proteso verso nuove flessibilità: slanci affioranti nelle chete acque della routine. Segni immaginari si tracciano nei solchi dei versi, che ci precipitano talvolta lungo la china interrotta di una conclusione che possiamo appunto solo immaginare, rimanendo incompleti o troppo netti per esaurirne i possibili significati.
Ecco alcuni esempi di lettura curiosa e svagata: laddove “il silenzio incombe profano”, Contini evoca la sacralità cercata nell’incontro, quella che “scruta occhi”, e troppo spesso ne incontra altri che invece “scrutano vetro”; fino alla quasi-certezza dell’unica attesa plausibile: la terra, ambivalente mitica madre che genera e accoglie, forse per sempre, ma forse anche per lasciare che il passo, comunque, da qualche parte proceda. Con i piedi per terra, appunto. Profana precarietà dell’esistere e sacro desiderio di anima si mescolano nel rammarico “inquinato dal pianto”. Oppure, “persone di potere”, ammirate e detestate insieme, si “rotolano nel fango” di una beauty farm ideale su cui l’immagine si arresta interrompendo la denuncia, mentre apre la porta alla fantasia. Oppure ancora, il chiarore ambivalente del vuoto lascia spazio alla speranza: “ammirare il mare”, “soffermarsi sfiniti nella carezza del vento”, “trovare conforto”, riaffermando l’istanza irriducibile del rilancio.
C’è forse un duplice tracciato su cui Impulso di verso conduce il lettore: da un lato, interrogativi lucidamente amari sulle contraddizioni di questa nostra caotica eppur affascinante modernità; dall’altro, domande aperte sulle nostre sensazioni più forti, come ad esempio l’amore. Talvolta il dubbio è che esso sia solo infatuazione ingovernata, pericolosa dissoluzione dei principi di realtà che dovrebbero orientare il buonsenso della consuetudine; ma quasi sempre lo si percepisce come rischio imprescindibile che alimenta la forza della vita, anche quella di sempre. L’amore la attraversa con sensazioni nuove o rinnovate, gioiose e dolorose insieme, unica opportunità ideale di vivido entusiasmo verso il mondo.
Ciascuno potrà percorrere i versi trovandovi riparo dalle intemperie, o incontrandovi sentieri interrotti da radure improvvise ove riprendere fiato o talvolta risentire un personale terrore di apnea momentanea, permeata dalla meravigliosa sensazione del nostro pur effimero esserci-nel-mondo.
Quel che importa, comunque, è accogliere un “impulso diverso / inatteso e gentile / prorompente e fatale”, che sappia davvero — come ci suggerisce Contini — essere “audace”, raggiungere “il profondo / di un’anima incerta”. E fare — aggiungerei — di questa lucida, fantastica incertezza la nostra più grande conquista, lasciando l’impulso “migrare leggero”. Non tanto o non solo alla fine del percorso, quanto piuttosto nell’incedere quotidiano sulle strade impervie del nostro vivere. Perché se da un lato l’incertezza alimenta il desiderio, dall’altro lo spinge a sublimare altrove la tensione che lo nutre: lama che dilania l’anima riuscendo a trafiggere lo spessore quotidiano, mentre cerca di orientarsi tra i milioni di segni da cui attendiamo quello agognato che possa finalmente inondare di sé il reale. Ma l’arroganza dell’esserci completamente è ancora più intollerabile della rassegnazione all’essere già consolidato. In fondo, il sentire cui ci convoca Contini con i suoi versi è una conferma che rinunciare, per amor di certezza o tranquillità, a trasformare il proprio mondo è insopportabile.