Il romanzo d’intreccio, nel quale le vicende si susseguono con un ritmo incalzante che spinge il lettore a proseguire col fiato sospeso sino all’ultima pagina, è un genere che nel corso del tempo ha subito alterne vicende: più volte svalutato e quasi disprezzato dalla critica colta come narrativa d’evasione, priva di contenuti di rilievo e pregnanti da un punto di vista umano e sociale, è riuscito comunque a sopravvivere, arricchendosi nel tempo di nuove sfaccettature artistiche che hanno contribuito a mantenere sempre desti l’attenzione e il consenso dei lettori, e smentendo, qualora ce ne fosse bisogno, le speciose argomentazioni di chi considera degne di essere lette solo quelle opere che si pongono esplicitamente l’intento di istruire, ma sarebbe meglio dire indottrinare, il pubblico al quale si rivolgono.
Questa nuova opera di Silvana Cellucci, a differenza delle precedenti, introspettivamente costruite sull’indagine psicologica dei personaggi, si presenta invece come un appassionante romanzo d’intreccio, dove l’azione prende il sopravvento sulla caratterizzazione dei protagonisti, che tuttavia non manca di emergere qua e là, nel corso del romanzo, dai vari modi di reagire dei personaggi alle oscure, talvolta enigmatiche vicende, delle quali sono volta a volta vittime o attori.
Sullo sfondo di un’America tumultuosa e ipermoderna, la scrittrice abruzzese ha imbastito una complicata storia, dai contorni che talvolta sembrano ricalcare la miglior tradizione del romanzo nero, le cui lontane radici affondano nel cuore della vecchia Europa, e più precisamente in una delle sue più illustri famiglie di ex regnanti, i cui destini hanno più volte stimolato e affascinato la fantasia di scrittori e registi.
Il romanzo, in un susseguirsi di tumultuose avventure narrate con l’eleganza e lo stile tipicamente italiano che costituisce il segno distintivo della prosa di Silvana Cellucci, narra le peripezie di una giovane donna, discendente dalla celeberrima ma sfortunata casata tedesca dei Wittelsbach, che per una fortuita serie di circostanze, si trova invischiata in un traffico internazionale di dipinti, dal quale tenterà di uscire a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita, aiutata da un maturo critico d’arte a sua volta legato a lei da una serie di enigmatici vincoli amorosi, che affondano le loro radici nella sua giovinezza, trascorsa in giro per l’Europa in qualità di guida turistica.
A rischio di disorientare, almeno sulle prime, il lettore, la narratrice abruzzese non esita stavolta, e questo costituisce un’assoluta ma gradevolissima novità, a rivestire la vicenda narrata di un alone fantastico, ruotando l’antefatto del romanzo su due evanescenti figure femminili delle quali solo alla fine si riuscirà a scoprire la vera identità: due donne delle quali non si sa nulla, ma i cui ritratti, dipinti dalla mano di celeberrimi pittori del passato, costituiranno il lungo filo rosso che dall’Europa condurrà i protagonisti in America e da qui di nuovo nel cuore del Vecchio Continente, in una sorta di fertile simbiosi al termine della quale ogni frammento del complicatissimo puzzle ideato dalla Cellucci andrà a posto, costituendo un quadro nel quale vecchio e nuovo, nobiltà e borghesia, amore e odio, inganno e menzogna si amalgameranno in un finale amaro, a sorpresa, dai toni drammatici.
Abbandonando i suoi ormai classici stilemi, intessuti di una profonda e religiosa pietà nei confronti dei suoi personaggi, simboli e metafore di una realtà sempre più disumana e alienante quale quella contemporanea, Silvana Cellucci stavolta ha rinunciato a quello che sarebbe potuto essere un classico lieto fine per un finale aperto, che lascia i protagonisti soli e responsabili di fronte alle loro scelte e alle loro azioni, passate e presenti, in un invito quasi ad una catartica presa di coscienza, che solo il tempo e la riflessione potranno attuare.
Un romanzo nuovo, nel cui appassionante intreccio non mancano però pagine di attenta e sofferta partecipazione alle devianze della società, ai pericoli derivanti dalla leggerezza nell’agire e da un’eccessiva dedizione all’arte che, come ogni attività, se praticata in modo ossessivo ed esclusivo, rischia comunque di far perdere di vista la vita, la realtà di tutti i giorni, generando pericolosi fraintendimenti e amare illusioni.