Fedele alle scelte narrative dei suoi precedenti lavori, Silvana Cellucci ha costruito anche questa volta un romanzo appassionante, denso di colpi di scena, dalla trama coinvolgente, i cui personaggi colpiranno il lettore per la loro grande umanità e per il profondo tormento interiore che li caratterizza.
Il protagonista, un giovane indiano dall’oscuro ed enigmatico passato, soffre di una strana forma di malattia mentale, retaggio di un’infanzia infelice, caratterizzata da continue allucinazioni che lo condannano a vedere la realtà che lo circonda come se fosse tinta e intrisa di sangue. Per sfuggire a questa orrenda visione, il giovane Adir indossa sempre degli occhiali neri da sole, che costituiscono in certo modo una sorta di schermo tra lui e gli altri, schermo che però non riesce a proteggerlo dall’infuriare degli eventi che continuano inesorabilmente a tartassare e a funestare la sua esistenza.
Su questa tremenda anomalia mentale, Silvana Cellucci snoda tutta una complicata vicenda dai contorni esotici ed esoterici, che condurrà il lettore nell’India misteriosa e tra le innevate montagne del Tibet, in un lungo viaggio iniziatico, esistenziale e religioso, le cui tappe fondamentali coincideranno con la lenta catarsi interiore del protagonista e della sua compagna, Linda, anche lei segnata da terribili traumi infantili, e la cui vicenda biografica è strettamente intrecciata, sin dall’adolescenza, con quella di Adir.
L’alienazione mentale, in particolar modo nelle sue forme traumatiche, generate da torbide e inquietanti esperienze infantili, che la società moderna con la sua fretta e il suo disinteresse tende a trascurare, catalogandole sbrigativamente con una serie di freddi termini scientifici e riducendo chi ne soffre a poco più di un animale da esperimento, è una costante della narrativa di Silvana Cellucci, mai paga di indagare i più reconditi e angosciosi meandri della psiche umana, servendosi spesso, ma in questo romanzo in particolare, di un originale impianto prosastico che dapprima frantuma in una serie di flashback la vicenda, punteggiandola continuamente dei deliri e della manie persecutorie dei personaggi, per poi riannodarne le fila con una logica inesorabile che guida passo passo il lettore sino alla soluzione finale.
Anche qui, come nei precedenti romanzi dell’autrice, la zona buia della psiche, scaturigine della follia del protagonista, si annida nella prima infanzia, dando vita sia alle allucinazioni visive di Adir, sia ad una forma di satiriasi e di morbosa gelosia, spinta talvolta al parossismo, che rischierà addirittura di travolgere e annichilire il suo rapporto amoroso con la giovane Linda, a sua volta segnata da una patologica avversione nei confronti dell’amore fisico, che solo la maternità riuscirà in qualche modo a farle superare.
Chi ha già letto altre prove di questa promettente scrittrice abruzzese, ricorderà certo il ruolo predominante che la Cellucci affida, per lo svolgimento della vicenda, alla musica, arte catartica e taumaturgica per eccellenza: la musica nei suoi romanzi costituisce sempre l’esile filo rosso che segna le fondamentali tappe esistenziali dei protagonisti, accompagnandoli con discrezione nella ricerca del proprio Io più autentico.
In questo nuovo lavoro però, la musica assurge addirittura al ruolo predominante di deus ex machina, incarnandosi in un personaggio che ad un’attenta lettura si rivelerà essere quasi il doppio speculare del protagonista, giacché ripropone in positivo, come ansia di purezza, di idealità e di nullificazione dei limiti carnali, le stesse tensioni che agitano la psiche di Adir, annegandolo nella carnalità dell’amore fisico e del possesso esclusivo e maniacale della donna amata.
Angelus, questo è il nome, allusivo e paradigmatico ad un tempo, di questo ambiguo ma affascinante personaggio, si presenta sulla scena quasi a metà del romanzo: emblematicamente, fa la sua prima apparizione sull’altopiano tibetano, quasi a significare la sua estrema vicinanza al trascendente e la sua parossistica tensione ad un ideale di umanità transumanata.
Angelus è un compositore New Age, le cui musiche la giovane Linda ascolta per la prima volta durante un concerto all’aperto a Lhasa: sono composizioni che la colpiscono profondamente, e alle quali dà di volta in volta, in maniera quasi inconscia, un titolo, che adombra le singole tappe della crescita della sua femminilità e della maturazione del suo rapporto con Adir, fino all’ultimo, che non a caso reca il nome della bimba nata dal loro amore: Neéra.
Per questo aspetto specificamente musicale del romanzo, e senza il quale tutta l’evoluzione della vicenda rimarrebbe puramente mentale, teorica, e in certo senso astratta, la Cellucci ha preso spunto dalle composizioni di un giovane ma affermato musicista, le cui musiche, alcune delle quali già edite in CD, sognanti e diafane nella loro estrema e rarefatta semplicità, rispecchiano la tensione verso l’assoluto che coglie Linda ogni volta che le ascolta.
Il giovane compositore, cui l’autrice ha voluto ribadire l’allusivo ma programmatico nome di Angelus, nel senso greco del termine di “colui che annuncia”, e che nella trama romanzesca annuncia infatti l’inizio dell’ascesa mentale e amorosa dei protagonisti, si rivela anche come l’occasione concreta per esplicitare, attraverso le visioni di Linda e Adir, il processo di risanamento psichico di tutti i personaggi della vicenda, processo che troverà il suo naturale e logico sbocco nel finale del romanzo che, pur se “aperto” sembra alludere ad una composizione dei conflitti in un’armonia, familiare ed amorosa, finalmente ritrovata.