Arrivista, materialista, ambizioso, narcisista, a volte superficiale. Gigi, il protagonista del romanzo, è un personaggio perfettamente contemporaneo, in piena sintonia con un’epoca che del successo facile e dell’ossessione per l’immagine sembra aver fatto i suoi valori fondamentali. La Cellucci disegna abilmente intorno a lui un’adeguata tranche de vie e lo accompagna con discrezione nel suo percorso narrativo, sospendendo il giudizio su di lui e lasciandolo agli eventi senza ammiccamenti etici o falsi moralismi.
Analizziamo dunque l’intreccio. Di ritorno dalla naia, Gigi trova un impiego in una ditta di distribuzione di bombole del gas, ma i suoi desideri vanno ben oltre questa semplice occupazione: aspira infatti a diventare ricco, sfondare e spassarsela per il resto della vita. Rifacendosi ai canoni tradizionali della commedia dell’arte, l’autrice affianca all’intraprendente ragazzo una spalla, la maga Topazia, che via via si rivelerà primadonna di tutto rispetto. Gigi si rivolge alla maga per un responso sul futuro delle sue ambizioni e poi, di seguito, per una mediazione tangibile nel tentativo di vederle realizzate.
Il ricorso alla chiromante, del resto, rappresenta un’eccezione rispetto a quella professione di concretezza e materialismo cui il protagonista non manca mai di riferirsi. È come se, a un certo punto, il personaggio della Cellucci avesse deciso di ottenere i premi edonistici e in fondo frivoli della vita attraverso la via esoterica, cioè servendosi di quanto più distante dai suoi principi si possa immaginare. Questa, almeno, una delle possibili parabole del romanzo; poi fallita, nel senso che le velleità di Gigi di accaparrarsi le grazie di una giovane ereditiera mediante la maga Topazia svaniranno improvvisamente, in quello che è il primo colpo di scena del romanzo.
Va detto a tal proposito che il colpo di scena rappresenta un espediente stilistico ben utilizzato da Silvana Cellucci, scrittrice che vanta ormai decine di romanzi e dunque ben addentro alle tecniche della narrativa. Si tratta di epifanie inattese, rivelazioni fortuite che, d’un tratto, fanno cambiare volto alla vicenda irretendo ancor più il lettore nella trama del racconto. E tutto ciò in una progressione del ritmo e dei montaggi scenici che trova il suo compimento nella rivelazione finale, nella soluzione e scioglimento dell’enigma sotteso al romanzo, che non mancherà di stupire e catturare i lettori.
A tener desta la curiosità contribuisce anche la natura ambivalente e a tratti contraddittoria del protagonista. Da una parte questi sembra esclusivamente interessato ai suoi sogni di grandezza; dall’altra, non può esimersi dall’aiutare il suo datore di lavoro investito da un’auto, dimostrando un’intima carica di umanità nel difenderlo dalle incurie e dall’indifferenza dei medici, un’attenzione verso l’altro che a dir la verità sembrava preclusa a questo genere di personaggio.
C’è quindi una contraddizione intrinseca alla figura del protagonista che ovviamente rispecchia le incoerenze dei caratteri umani e della stessa realtà, una contraddizione che giunge addirittura a permeare di sé anche lo stile e il linguaggio utilizzati dalla scrittrice. La narrazione in prima persona da parte del protagonista effettivamente viene spesso condotta mediante l’utilizzo di un linguaggio disincantato, a tratti spregiudicato, quasi mirante a fare il verso a un certo tipo di narrativa contemporanea dedita all’immediatezza e all’uso di stili colloquiali o magari gergali.
Tuttavia altrettanto spesso questo tentativo mimetico viene quasi tradito dall’emergere di espressioni o registri linguistici colti, probabilmente derivanti dal background dell’autrice. Ne risultano una dicotomia e una incoerenza che in fondo non fanno altro che mimare le contraddizioni, linguistiche e non, della nostra epoca.
Siamo dunque nel cuore del post-moderno, caratterizzato ad esempio da continui e ipocriti richiami alla moralità e all’etica in ogni campo, i quali vengono puntualmente disattesi a causa di un sistema culturale non più in grado ormai di veicolare valori e direttive etiche di comportamento.
Il personaggio Gigi rispecchia queste fratture e queste contraddittorietà. Lo confermano l’eccessiva attenzione da lui dimostrata per il corpo, il suo terrore per il decadimento fisico e, al contempo, l’accusa feroce lanciata al presunto parassitismo meridionale oppure la dedizione e cura stesse che mette in un lavoro temporaneo, scelto più che altro per sbarcare il lunario in attesa di momenti migliori.
Oltre al tema dell’ambizione, sottolineato più volte nel romanzo dall’atteggiamento volitivo del protagonista e stigmatizzato dalla continua reiterazione della parola “voglio” (che la chiromante mette in evidenza), emerge nella vicenda un altro aspetto tipico della post-modernità: il cinismo verso i sentimenti, o quanto meno il distacco.
“Ho infatti sempre avuto poca fiducia nel sentimento,” dice apertamente Gigi con disillusione e ironia. “Alcuni lo giudicano la molla che spinge gli uomini alle grandi imprese. Io per natura e per esperienza lo giudico sì una molla, ma di quelle maligne che ti scattano in un occhio e quasi ti accecano.”
Perciò disinvoltamente usa il corpo come strumento di seduzione ma anche come risorsa economica. Un edonismo interessato e materialista, dunque, quello che ci comunica e forse denuncia il romanzo. E diciamo forse perché l’autrice è ben lungi, da buona scrittrice di narrativa, dall’inserire diretti o indiretti commenti alla storia e ai suoi personaggi. Insomma la Cellucci si pone sulla scia della tradizione naturalista e verghiana dando vita a un romanzo vero e, nonostante ciò o magari proprio per questo, appassionante e intrigante.