Ecco un’altra prova letteraria della versatile autrice abruzzese Silvana Cellucci, opera che conferma ancora una volta le sue doti di attenta e sensibile indagatrice degli abissi mostruosi della psiche umana e di fine scrittrice preparata non solo culturalmente, ma anche consapevole dei gravi problemi che affliggono il nostro mondo martoriato dalle guerre di religione e dal terrorismo, moderne incarnazioni del Male. Un fascio di rette parallele è ambientato in una piccola città di provincia, che per luoghi, atmosfere, ritmi di vita sonnolenti richiama esplicitamente Chieti e i suoi dintorni. La vicenda ha per protagonista una docente di matematica con i suoi reali e immaginari amori, e si snoda lungo un percorso narrativo di rinnovamento inaspettato e imprevisto.
Il romanzo è denso di vicende, complesso nella struttura narrativa e nell’intreccio, articolato nella delineazione dei caratteri e dei personaggi e ricco di dialoghi e di riflessioni scientifiche, filosofiche ed etico-religiose, tanto da richiedere un consistente impegno intellettuale del lettore, ripagato però dalla sensazione fondata di aver acquisito una migliore comprensione di se stesso e degli altri.
L’Autrice non rinuncia alla sua abituale visione pessimistica del mondo, in cui gli uomini e le cose sono mosse da un destino cieco e caotico, privo di significato, e del male gratuito che ha la sua radice nell’insopprimibile natura malvagia dell’uomo e della società.
Questa malvagità pervade la storia dell’individuo e il presente del cosmo: gli attentati terroristici, l’odio dei figli per i genitori e viceversa, la rivalità economica tra consanguinei, finanche il senso di colpa che si prova nei confronti di se stessi, sono trattati dalla scrittrice, a volte con furore profetico, come prove di tale verità. Solo l’amore, nelle sue diverse forme di passione e di pietà, potrebbe riscattare tale destino, se le regole sociali e la fragilità umana non impedissero tale riscatto.
Il male qui è incarnato dalle tragiche vicende che seguono l’11 settembre. I lettori sanno che questa data verrà ricordata nei libri di storia come quella dell’attacco terroristico alle torri gemelle di New York e della successiva guerra contro i Talebani afgani.
Da quel momento il distratto mondo occidentale, capitalistico e agnostico, scopre che le guerre di religione non sono finite e che, quando si dimentica la sofferenza provocata dallo sfruttamento e dalla miseria di enormi masse umane, conseguente al sistematico saccheggio delle risorse umane e materiali del processo forzato di globalizzazione, c’è sempre qualcuno più furbo e malvagio degli altri pronto a manipolare la rabbia, l’ignoranza e la superstizione religiosa degli individui e un perverso senso del bene e del male, per spingerli ad abbracciare un credo religioso estremo e a compiere atti terroristici per ottenere con la violenza i propri tornaconti personali.
Ester, drammatica figura femminile, vive queste vicende come se esse fossero la cifra, il simbolo della sua tragica condizione umana, segnata da esperienze dolorose, da amori resi impossibili dalle convenzioni sociali e dalle ipocrisie, retaggi di una società arcaica, attenta solo alle formalità e al giudizio della gente.
Ciò determina nella donna una profonda dissociazione tra sé e il mondo, un dissidio con l’altro che la spinge a cercare un significato alle proprie vicende dentro se stessa, perché “In interiore hominis veritas”, e lo fa in modo estremo e parossistico sprofondando in una sorta di inferno privato.
La protagonista vive e dialoga incoscientemente in un suo mondo fantastico, popolato di personaggi e situazioni deliranti, in una cupa atmosfera di solitudine e di disperazione che si diffonde come metastasi in uno spirito malato di una eccessiva e stralunata immaginazione.
Come il grande poeta portoghese Pessoa possiamo dire che: «Non amiamo mai nessuno. Amiamo solamente l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un nostro concetto (insomma, noi stessi) che amiamo. Due persone dicono reciprocamente “ti amo”, o lo pensano, e ciascuno vuol dire una cosa diversa, una vita diversa, perfino forse un colore diverso o un aroma diverso, nella somma astratta di impressioni che costituisce l’attività dell’anima.»