Silvana Cellucci

Mai più crisantemi per Jenny

Presentazione di Santo Sgroi

Tabula fati, Chieti 1999

 

Presentazione di Santo Sgroi

     Giunta ormai alla sua quarta prova narrativa, Silvana Cellucci conferma anche stavolta le sue doti di scrittrice colta, garbata, ma soprattutto attenta ai mille gravosi problemi che affliggono la nostra caotica società contemporanea.
     Questo suo romanzo, dall’emblematico titolo Mai più crisantemi per Jenny, si differenzia tuttavia dagli altri per un taglio decisamente sperimentale che forse sulle prime non mancherà di disorientare un po’ il lettore: è costruito infatti come una sorta di simmetrico gioco di specchi, all’interno del quale si sovrappongono e intersecano due piani narrativi, quello ruotante attorno alle vicende del protagonista, Valerio Pardi, e quello del romanzo che lui stesso scrive, per esplicitare i suoi sogni, i suoi desideri, le sue più profonde aspirazioni, creando un metatesto narrativo che finirà per determinare le vicende biografiche e sinanco i sentimenti del giovane.
     Incline per scelta e vocazione ad esplorare i più sottili meandri della mente umana, ed in particolare le sue perversioni, le sue anomalie, i suoi aspetti patologici, anche stavolta Silvana Cellucci affonda con grande sensibilità nel disagio dei suoi personaggi, indagandone attentamente le cause remote, e tratteggiando con mano ferma e sicura ritratti umani inquietanti: ne è un esempio la giovanissima Jenny, orfana di entrambi i genitori e con un’infanzia segnata da elementi traumatici e devastanti, la bella e semplice Lara, vittima innocente di una violenza assurda, ai limiti del mostruoso, ma anche e soprattutto Valerio, ossessionato da una forma di angoscia che, oltre a condurlo quasi alle soglie della follia, si manifesta nella sua incoercibile esigenza di un amore e di una dedizione assoluti, infiniti, esigenza che egli stesso non esita a definire “morbosa”, “patologica”, “abnorme”, “folle”.
     Sono tutte creature sofferenti, anomale,quelle che popolano l’universo narrativo della scrittrice, ma capaci comunque di amare altruisticamente al di là di ogni limite, e la cui sofferenza, psichica e fisica, altro non è che la cartina di tornasole alla luce della quale chi lo vuole può sperimentare e leggere il profondo disagio morale e psicologico che assilla una società come la nostra, dove i valori si sono progressivamente sfaldati, lasciando l’essere umano allo sbando, privo di qualsiasi punto di riferimento e preda dei suoi istinti peggiori, ai quali la ragione si rivela spesso, se non sempre, impotente a porre un freno.
     Ed ecco allora l’aspirazione ad una città, ad un mondo futuro, dove l’uomo possa finalmente tornare a convivere non solo con la natura e con gli animali, senza sopraffarli e annientarli, ma anche con gli strati sociali più deboli ed emarginati, quali vecchi e handicappati, ridotti dalle esigenze e dall’egoismo del nostro tempo a semplici numeri, a casi clinici, a gravosi e noiosi impicci, ai quali viene talvolta negato non solo l’affetto e la comprensione, ma persino la dignità umana.
     Un profondo e sentito afflato umanitario, unito ad una violenta e sdegnata invettiva contro la società contemporanea, percorre tutto il romanzo, permeando di sé non solo i dialoghi, sempre pregnanti e densi di significato, ma anche le vicende dei protagonisti, indagati sin nei loro più intimi e reconditi pensieri, nei loro inconfessabili istinti, nelle loro perversioni, in tutti quei malsani gesti che li rivelano figli di un tempo che vede non il sonno, ma l’impotenza assoluta della ragione.
     Mai più crisantemi per Jenny ruota soprattutto attorno ad un tema scottante quale quello degli emarginati, ai quali vanno, e giustamente, tutte le simpatie dell’autrice, che non disdegna nemmeno di lanciarsi, attraverso il suo protagonista, in un avveniristico progetto di ristrutturazione urbanistica, pensato e creato finalmente per l’uomo e non per le industrie, che dovrebbe trasformare la terra in un’oasi di pace e serenità, dove tutti, compresi gli animali, potrebbero venir salvaguardati nei loro diritti e nella loro dignità, ponendo finalmente termine all’egoismo e all’avidità oggi dilaganti.
     Accanto a questi motivi, tipici della narrazione della Cellucci, ma esposti adesso in maniera ben più ambiziosa e articolata, il lettore ritroverà naturalmente anche stavolta le classiche finezze stilistiche della scrittrice, che sa arricchire senza appesantirla ogni sua prova narrativa di rimandi musicali e poetici, posti nei punti strategici, nei nodi cruciali della vicenda, quasi a fornire il tocco finale, l’atmosfera giusta, la chiave di lettura adatta e privilegiata a meglio comprendere una trama che non è mai fine a se stessa, ma che vuole ogni volta offrirsi come spunto di riflessione, di indagine e magari anche di ravvedimento.

Santo Sgroi