Silvana Cellucci

L'albero mozzo

Presentazione di Giuliana Cutore

Tabula fati, Chieti, Maggio 2006

 




Presentazione di Giuliana Cutore




     Il mondo contemporaneo, dominato dall’interesse materiale, dal culto del più forte, della bellezza, della sicurezza di sé, scivola lentamente ma inesorabilmente lungo una china al cui fondo c’è purtroppo la totale aridità e la scomparsa definitiva di quei sentimenti come la pietà, la riconoscenza, la fratellanza che, insieme all’amore, rendono la vita degna di essere vissuta. Non è dunque sbagliato scorgere negli esseri umani di oggi, o almeno nella maggior parte di essi, tutta una serie di alberi mozzi che, privati della linfa vitale, non potranno mai più rinverdire e rifiorire, preparando nuovi frutti al futuro.
     Silvana Cellucci, scrittrice avvezza a penetrare con mano delicata ma ferma nelle più riposte e più dolenti pieghe dell’animo umano, ha tracciato stavolta una storia dove questo problema viene sviscerato e sondato fin nelle sue più recondite conseguenze. Il non riuscire più ad amare, ma anche la paura ossessiva di amare in modo troppo esclusivo, il senso di inadeguatezza, i complessi di inferiorità e di colpa che attanagliano tanti poveri infelici che, non paghi di farsi travolgere dalla ricerca del benessere materiale ad ogni costo e dal culto della bellezza, del denaro e del potere, continuano ad ostinarsi a ricercare e perseguire sentimenti puri e nobili come la dedizione e l’affetto disinteressato, vengono esplorati attraverso la ricostruzione minuziosa e a tratti impietosa delle reazioni dei protagonisti, del complicato evolversi delle loro vicende amorose, della loro ricerca tormentata di un’identità certa, di un punto fermo dal quale cominciare a ricostruire la loro vita.
     La metafora dell’albero mozzo, simbolo di un’umanità che si è volontariamente depauperata della parte migliore di sé, e che attraversa tutto il romanzo, ritornando nei momenti più cruciali come una sorta di ossessivo leit motiv, si lega ad una trama dove l’elemento noir, nelle sue implicazioni talvolta inquietanti e cupe, accompagna il continuo indagare su di sé dei protagonisti, le loro angosciate domande sui perché della vita, il loro ossessivo chiedersi “Chi sono?”, “Perché sono così?”, “Cos’è la mia vita?”.
     Perché è anche questa una delle tematiche predominanti dei romanzi di Silvana Cellucci, il reale motivo del giocare dell’autrice con l’identità dei suoi personaggi, dipanando e mostrando quasi una serie infinita di possibilità: oggi l’uomo ha smarrito se stesso, il suo essere più autentico, dilacerato e dilaniato com’è dalla ricerca del benessere materiale e del successo, travolto com’è dai falsi miti del potere e del denaro.
     Ancora una volta, la polemica sferzante contro una società corrotta e marcia fino alle midolla si unisce ad una delicata e compassionevole indagine dei motivi più reconditi di sofferenza di uomini e donne, dando vita ad un romanzo che, se per i suoi continui ed avvincenti colpi di scena terrà desta sino all’ultimo l’attenzione del lettore, una volta chiuso il libro, lo indurrà amaramente a riflettere, e soprattutto a chiedersi quanti tra gli uomini e le donne di successo di oggi, così sicuri di sé, così ricchi, potenti e ossequiati da tutti, non siano in fondo altro che alberi mozzi ingegnosamente nascosti.

Giuliana Cutore