Ad una prima lettura, Un disegno sulla sabbia di Michele Bonomi suscita l’impressione che sia sfuggito qualcosa alla nostra attenzione, che sotto la disarmante semplicità si nasconda un secondo significato. E in realtà lo scrittore, unendo la dimensione del soggettivo a una narrazione cristallina e lineare, aderisce pienamente all’insegnamento di Calvino che suggeriva, in anni lontani, di “fare il vuoto per ripartire da zero” in opposizione al cosiddetto “riciclaggio delle immagini” caratteristico del Postmoderno.
È una storia dove non succede nulla, dove non può succedere nulla per esatta volontà dei protagonisti (dell’autore), che si pongono in posizione d’attesa rispetto ai propri umori, stati d’animo e sentimenti, e talvolta se ne lasciano prendere dettati da una “insostenibile leggerezza dell’essere”. L’esile trama del romanzo consiste in una serie di incontri casuali ognuno dei quali racchiude la propria soggettiva verità; in una serie di punti di vista che si intrecciano con effetto polifonico tra esperienze reali e percezioni introspettive affidate al caso, alle libere associazioni dell’inconscio, agli spunti suggeriti dagli altri personaggi, in una dimensione ludica intesa come gioco di rinvii, di rimandi che frammentano l’ordine logico-temporale precostituito. La vicenda è presentata come il diario di una settimana di vacanza, il resoconto di un’esperienza breve ma fantastica; le descrizioni dei luoghi e dei personaggi si coniugano con le impressioni e con i dialoghi dalle battute brevi e incalzanti.
Dal punto di vista stilistico il tratto più rilevante è l’andamento anaforico, la ripetizione ossessiva di alcuni termini e parole chiave. Così, per delineare il paesaggio e la situazione, vengono impiegati dallo scrittore pochi elementi afferenti al campo semantico di una natura dominata dalla staticità, dall’incanto incontaminato, magica, in cui hanno particolare risalto le sensazioni visivo-uditive.
Al centro, il tema del viaggio, della “vacanza” intesa come occasione di ricerca di sé e dell’altro, dell’evocazione di ambienti e situazioni dalla geografia mediterranea, al confine tra proiezione soggettiva e realtà, nonché il tema dell’incontro con presenze-fantasmi enigmatici che affiorano dal passato o da una dimensione irreale, in nome di una leggerezza che amalgama perfettamente il piano psicologico a quello realistico descrittivo.
La poetica di Bonomi tende all’eterogeneo avvalendosi, seppur timidamente, di materiali diversi (appunti, canzoni, poesie) e di una tecnica improntata alla sospensione continua, così come al ricorso al finale aperto. Un’altra caratteristica è la presenza dell’autore, più o meno celata, che emerge costantemente soprattutto per l’inserimento di elementi paratestuali, come la scansione delle scene o la didascalia dei personaggi che forniscono al lettore una guida alla navigazione nel testo e costituiscono allo stesso tempo la dichiarazione di una poetica che prevede l’esplicitazione della genesi del testo stesso, per una sorta di mediazione letteraria della realtà. Che non riesce a imporsi da sola, e ha bisogno della simulazione scenica per affrancarsi. Come dire: il regista c’è, e si vede. È lui che detta le regole del gioco.